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LUIGI COSENZA | PIETRO PORCINAI | NAPOLI SEDE OLIVETTI POZZUOLI © ALESSIO GUARINO cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper

ITENERARI DI ARCHITETTURA | NAPOLI

SEDE OLIVETTI POZZUOLI

LA VISIONE DI OLIVETTI PER IL SUD

Nel VI secolo a.C. approdò sulla costa flegrea, dove oggi c’è la città di Pozzuoli, un gruppo di greci fuggiti dalla tirannia di Policrate. Avevano lasciato la propria patria, l’isola di Samo, diretti verso l’Italia meridionale, dove fondarono una città, Dicearchia, che significa “governo-giusto”.

Dopo 25 secoli – siamo all’inizio degli anni ’50 del ‘900 – altri uomini, provenienti da parti diverse d’Italia, sono arrivati nello stesso luogo con un nuovo compito: contribuire con i loro progetti non solo allo sviluppo del Sud d’Italia, ma anche, umanizzando i processi produttivi dell’era industriale, a dare forma concreta ad una nuova e più giusta relazione tra capitale e lavoro.

Tra questi uomini vanno ricordati tre personaggi che furono protagonisti di quegli anni e che del futuro avevano una grande visione: l’imprenditore Adriano Olivetti, l’architetto Luigi Cosenza e il paesaggista Pietro Porcinai. Lo stabilimento verrà collocato sulla via Domiziana a pochi chilometri da Napoli, lungo quel tratto eccezionale di linea di costa flegrea denominato Arco Felice, dove al magnifico paesaggio dominato dal mare si sovrappone la stratificazione storica sedimentata in millenni di storia.

Afferma Adriano Olivetti il 25 aprile 1955 nel discorso d’inaugurazione dello stabilimento: “La nostra società crede nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.

Il processo di costruzione di questa realtà produttiva concretizza ciò che continua a sembrare utopia: creare uno spazio in cui il lavoro e l’operare dell’uomo anziché mortificarla, valorizzi la sua umanità, mediante luoghi di lavoro dove la luce, il paesaggio e l’articolazione degli spazi permettono a chi opera e produce di amare il proprio lavoro e di contribuire attivamente e consapevolmente con la propria opera al futuro pulsante della fabbrica.

L’architettura di Cosenza esprime appieno in modo razionale lo sviluppo organico del manufatto rispetto al territorio in cui s’inserisce. Cosenza, rifiutando l’idea di fabbrica monolitica tradizionale, realizza ambienti che con le loro funzioni avvolgono e si riavvolgono nel paesaggio circostante. Il complesso si frammenta per accogliere la morbidezza del giardino di Porcinai che, sapientemente misurato, si inserisce in continuum, senza fratture, con il grande paesaggio locale e con il costruito: in alcuni momenti ne ammorbidisce il disegno, in altre lo esalta, in altre ancora lo apre all’immenso paesaggio costiero. Gli ampi e continui porticati rafforzano questo senso di forte compenetrazione tra esterno e interno. Dove mancano, le ampie vetrate continuano questo compito fondendo spazio-luce e spazio-materia. Significativo è quanto ebbe a dire Eduardo De Filippo visitando il complesso: “Ah, potete vedere il tramonto anche dall’officina?”

Intorno a una vasca di accumulo – a forma di laghetto naturale – delle acque per l’irrigazione, posta al centro del complesso, il giardino conserva, nel suo dolce pendio a terrazzamenti, le alberature esistenti fatte di pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e carrubo (Ceratonia siliqua) e le arricchisce con essenze esotiche quali l’albero del glicine (Jacaranda mimosifolia) e il gelso da carta (Broussonetia papyrifera), oltre ad altre. Mentre siepi sempreverdi e piante rampicanti completano l’equilibrata architettura del giardino.

Oggi, a oltre cinquant’anni dalla sua realizzazione, cosa è rimasto di quello straordinario programma? La continuità degli ambienti fatti di officine, sale di progettazione e di studio, uffici, biblioteche, mensa e luoghi di forte socialità dedicati all’incontro e al confronto sono spariti.

Passato alla Telecom, rimossa in nome del dio profitto quella straordinaria utopia del lavoro e della produzione che lo aveva generato, spezzettato lo spazio in uffici diversi, gli esterni sembrano rispettati ma gli interni sono stati brutalmente modificati con soppalchi e divisioni.

Ora che la crisi economica sta cancellando sogni e speranze per colpa di una finanza internazionale manovrata da potenti agenzie di rating, lo stabilimento rimane ancora lì, nel suo golfo tra la collina di Posillipo e il Monte Nuovo, uno tra i più belli del mondo, un modello di comunità produttiva per il futuro; un complesso che è un vero atto di fede nel lavoro inteso come strumento di valorizzazione dell’Uomo e di tensione verso la Bellezza.

Antonio Guarino, La Visione di Olivetti per il Sud.  «Diari», (2010).

L’impegno meridionalista di Adriano Olivetti si andrà ampliando a comprendere oltre Matera anche la Campania con l’insediamento produttivo di Pozzuoli a partire dal 1951. Matera, con l’esperimento dei borghi rurali, e la fabbrica di Pozzuoli sono i due “fuochi” accesi nel Meridione da Adriano Olivetti. Nel 1951 Adriano dà l’incarico a Luigi Cosenza di realizzare, a Pozzuoli ,uno stabilimento Olivetti, nel territorio flegreo, affacciato sul golfo di Napoli, lungo la via Domitiana. A Ivrea Cosenza studia l’organizzazione della fabbrica con l’idea di superare la catena di montaggio attraverso una organizzazione del lavoro basata sulle singole fasi lavorative.
Assieme a Cosenza operano Pietro Porcinai per la sistemazione del giardino e Marcello Nizzoli per lo studio dei colori. Lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli, […] è stato realizzato dall’architetto Luigi Cosenza, in stretta collaborazione con l’l’ingegnere Adriano Olivetti.

La fabbrica di Pozzuoli è rappresentata nel libro Donnarumma all’assalto, di Ottiero Ottieri che svolgeva l’incarico di responsabile per la selezione del personale.”Le lucide pagine di Donnarumma all’assalto rimangono a testimoniare il dramma e le speranze frustrate di quel proletariato, insieme all’isolamento in cui il tentativo di Olivetti è condannato a vivere.” (M.Tafuri) 1)

“Olivetti:questo straordinario intellettuale e imprenditore fu l’unico che negli anni della ricostruzione del paese ebbe l’intelligenza, la preveggenza e la sensibilità sociale e politica di credere che, per ridurre il divario secolare tra nord e sud, fosse necessario dare un contributo alla trasformazione industriale del Mezzogiorno. La sua fervida fede su questo terreno è legata alla esperienza della Martella in Basilicata e all’utopia, divenuta realtà, nella fabbrica di Pozzuoli.” (C.de Seta) 2)

La fabbrica è destinata alla produzione di addizionatrici e macchine da scrivere. “Di fatto,è l’intero programma di Olivetti per lo sviluppo del Mezzogiorno che si realizza in una condizione di isolamento e che affonda in un mare di speranze deluse. Il sogno di costruire a Pozzuoli una fabbrica modello ad alta tecnologia, con alti salari.[…] (G.Ciucci) 3)

“Lo schema a croce è la chiave del sistema planimetrico dell’intero complesso.” […]“La croce propone un’esigenza distributiva per le centinaia di macchine richieste da una produzione industriale in questo avanzatissimo studio tecnico, una possibilità di espansione graduale o improvvisa, un’equidistanza dai singoli luoghi di lavoro dagli obbligati passaggi di controllo e di smistamento propone e risolve soprattutto un tema fondamentale nel suo valore umano: quello di una corsia di officina aperta da ambo il lati alla luce, al paesaggio, alla natura.”(R.Musatti) 4)

Adriano Olivetti inaugura lo stabilimento il 23 aprile 1955. Nel discorso “Ai lavoratori di Pozzuoli” Adriano spiegava la concezione ed il valore, dell’opera come esempio per nuove realizzazioni.

“La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo abbiamo voluto le finestre più basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad escludere definitivamente l’idea di una chiusura ostile. Cosicché, oggi questa fabbrica ha anche un altro valore esemplare per il futuro del nostro lavoro nel nord e ci spinge a nuove realizzazioni per creare nuovi ambienti che traggano da questa esperienza insegnamento per più felici soluzioni.”

A questo stile contribuiva, oltre alla estetica ed alla qualità dei prodotti, veicolati da un linguaggio comune, anche il tema della responsabilità sociale, cioè delle finalità dell’impresa in rapporto al territorio ed alla sua comunità. Questo aspetto è ben rappresentato dal celebre passaggio nel discorso di Adriano Olivetti ai lavoratori della nuova fabbrica di Pozzuoli.

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?”

Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”[…]

“La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua forma divina, nella sua possibilità di elevazione e riscatto” […]

Le architetture, nello stabilimento di Pozzuoli, rispondevano ad esigenze di razionalità, ed erano un luogo confortevole e bello nel quale lavorare e assieme alle case di abitazione, come quelle del quartiere Castellamonte a Ivrea, degli anni ’40, o agli asili gratuiti, erano una risposta sul territorio alle esigenze dei lavoratori dell’azienda e delle loro famiglie.

“L’umanesimo imprenditoriale di Adriano Olivetti scaturiva da una straordinaria invenzione tipologica e spaziale del progetto di Cosenza per lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli (1951-1954), indiscusso capolavoro dell’architettura italiana del Novecento, la fabbrica, la cui pianta libera si effonde in stereometrie intersecate, in volumi trasparenti disseminati nel giardino mediterraneo, sistemate dal fiorentino Piero Porcinai, declina un purissimo lessico razionale, che media tra l’edificio e il paesaggio evitando di imitare l’uno e l’altro, la medesima opzione linguistica è chiamato da Cosenza a controllare gli impianti spaziali desunti dalla tradizione locale nelle abitazioni INA-Casa (1952-1955) costruite a poca distanza dalla fabbrica per gli operai della Olivetti.” (F. Dal Co) 5)

Nella fase di completamento della fabbrica viene chiesto a Pietro Porcinaj, architetto dei giardini, di curare l’integrazione tra l’architettura e lo spazio esterno curando l’inserimento del verde nel paesaggio del Golfo di Pozzuoli.

“Le aree verdi di Pozzuoli furono certamente tra i primi grandi esempi di giardino moderno mediterraneo.” (P.Pejrone) 6)

 

Testo di Mario Piccinini

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1) Tafuri M., (2002), Storia dell’architettura italiana 1944-1985,Einaudi,Torino. Cit.p.49-50.

2) De Seta C. in Cosenza G, (a cura di), ( 2006), Luigi Cosenza, La fabbrica Olivetti a Pozzuoli, Clean Edizioni, Napoli,

3) Ciucci G., (1994),Un sognatore razionale,in Moccia F.D., Luigi Cosenza, scritti e progetti di architettura,

4) Musatti R., (2006), La dimensione dell’uomo, in, Cosenza G, a cura di ,Luigi Cosenza, La fabbrica Olivetti a Pozzuoli, Clean Edizioni, Napoli. Cit. p.146.

5) Dal Co F., (1992), Storia dell’Architettura italiana- Il secondo Novecento, Electa, Milano.. pp.183-185 Clean Edizioni, Napoli. Cit. p.18.

6) Pejrone P., Un giardino moderno mediterraneo,in Cosenza G, (a cura di), ( 2006), Luigi Cosenza, La fabbrica Olivetti a Pozzuoli, Clean Edizioni, Napoli,

I GRANDI PAESAGGISTI DEL 900

PIETRO PORCINAI

Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini.

La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale.