Nel 1983 Porcinai progetta la sistemazione del sagrato della Chiesa di Sant’Ambrogio a Zoagli. Lo spazio, non grande antistante il luogo di culto, è decorato con ciottoli bianchi e neri secondo la tradizione ligure delle ville e dei sagrati e da strisce di ardesia in corrispondenza delle porte delle tre navate interne che segnalano le entrate.Lo spazio è delimitato da un muro basso su cui si può sedere per ammirare su un lato della piazza la vista del mare. Le basi dei grandi lecci sono ritagliate nel disegno generale dell’acciottolato.
Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini.
La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale.
Vi siete mai chiesti perché il profumo dei fiori d’arancio e il sapore delle scorze di limone vi facciano venire in mente un ricordo o il volto di una persona? Nella vita di ognuno gli agrumihanno impresso una traccia silenziosa ma indelebile: un gusto, un’esperienza tattile, una percezione affettiva. Potrete non accorgervene, ma in questi istanti si racchiude la memoria di una vita intera, poiché dietro un frutto si celano non solo pratiche e saperi tramandati da generazioni, ma anche il nostro passato. Questo è un viaggio fra gli agrumeti d’Italia, le loro storie e curiosità locali: una mappa per capire quanto la presenza degli agrumi sia multiforme e radicata nella nostra cultura, dalle grandi piantagioni ai vasi sulle nostre terrazze.
Giardini e paesaggio, 60
2025, cm 19 x 24, viii-332 pp. con 338 figg. n.t. Rilegato.
ISBN: 9788822269850
€ 29,00 € 27,55 – Novità LINK
La villa appartenuta alle Monache benedettine di San Martino fin dal XIV secolo, passò, nel XV secolo ad Antonio e Bernardo Rossellino e successivamente, nel 1610, a Zanobi di Andrea Lapi. Nel 1718 venne acquistata dai Capponi. Sono i Capponi che definiscono la villa nelle sue forme attuali, come appare nelle incisioni del XVIII secolo. In questo periodo compare: il giardino tergale, concepito come un cortile decorato a motivi rustici e posto ad un livello superiore rispetto all’edificio, l’aranceta, dove sono custoditi vasi d’agrumi, la lecceta, statue in pietra raffiguranti animali.
Nel corso dell’Ottocento numerosi furono i proprietari che si susseguirono, molti dei quali appartenenti alla ricca nobiltà europea. Fra questi Jeanne Keshko, moglie del principe Eugenio Ghyka-Comanesti, che acquista la proprietà nel 1896 tenendola fino al 1925. Durante la seconda guerra mondiale, la villa e il giardino subirono danni ingenti, tanto che quest’ultimo non era più riconoscibile. Nel 1954, sulla base di vecchi documenti, il proprietario Marcello Marchi iniziò un lungo restauro durato sei anni, che riportò la villa al suo antico splendore, dal 1994, gli eredi Zalum ne proseguono l’opera.