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NOTE SUL PERCORSO FORMATIVO E PROFESSIONALE | INES ROMITTI

PIETRO PORCINAI

Un rammarico, tra i tanti, è quello di non aver avuto la possibilità di frequentare più a lungo Pietro Porcinai. Lo conobbi infatti a Pistoia nel 1982 ed era il 1984-1985 quando, al rientro dal convegno IFLA in Giappone durante il quale ebbi modo di scoprire che era molto famoso ed ancora ricordato per la realizzazione del giardino italiano nell’edizione IFLA 1964, ritornai in alcune occasioni allo studio di villa Rondinelli in via Vecchia Fiesolana. Ebbi precise risposte ai miei tanti interrogativi sul tema del paesaggio, tuttavia, pur in questi pochi incontri, ho potuto intuire e comprendere la sua profonda preparazione e sensibilità nei confronti dei problemi che riguardano questo argomento. Inoltre nel 1986, con alcuni soci AIAPP, ho partecipato alla realizzazione di un numero monografico: Pietro Porcinai architetto del giardino e del paesaggio, a lui dedicato, del Bollettino AIAPP, l’associazione che aveva fondato nel 1950. In seguito, grazie alla gentile disponibilità degli eredi, in particolare di Anna Porcinai, ho avuto varie occasioni di consultarne l’archivio e ho potuto approfondire ulteriori aspetti legati alla sua professione. Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini. La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale. Nella stessa occasione furono inoltre banditi due concorsi, aperti ad architetti italiani iscritti negli albi del sindacato e a studenti del secondo periodo triennale della scuola di Architettura, per altrettanti giardini: uno pubblico e uno privato annesso ad un villino. Giovanni Michelucci ottenne il premio per il giardino privato con un progetto dall’impostazione geometrica in stile, dal linguaggio pesantemente tradizionale, ancora molto lontano da quello innovativo, proprio del movimento moderno, con cui l’architetto fiorentino si sarebbe espresso da lì a poco nelle sue architetture. In Italia in effetti, se negli anni Trenta in architettura convivevano nuove sintassi accanto a linguaggi tradizionali, per il giardino, a differenza di quello che era già successo in Francia, in Inghilterra e nei paesi scandinavi, non si sperimentava ancora alcun linguaggio innovativo, privilegiando la riproposizione di un glorioso passato. Particolarmente significativa è la critica che fece allora il giovanissimo Pietro Porcinai, denunciando la mancanza di una professionalità specifica inerente alla creazione dei giardini, concepiti da architetti che si cimentavano in questo ramo della progettazione ma non da paesaggisti veri e propri. Inoltre, spinto dal desiderio di partecipare al concorso per il quale riteneva di poter avere la necessaria competenza, ma dal quale era escluso per regolamento, sollevò all’epoca tale questione fondamentale, oggi quanto mai attuale. Le sue idee e la sua modernissima rivendicazione dell’autonomia di una professione così complessa e specialistica come quella del paesaggista, sono vivacemente e chiaramente espresse in una lettera che inviò all’architetto Ojetti: 

«Ill.mo Signor PRESIDENTE della Commissione Esecutiva per la MOSTRA DEL GIARDINO ITALIANO 

Ho preso visione del Bando di concorso per due progetti di giardini moderni, indetto dalla Città di Firenze; avendo rilevato come tale Concorso sia riservato solo agli Architetti, ed agli studenti iscritti al secondo periodo triennale delle R. Scuole di Architettura, mi permetto di avanzare domanda, se fosse possibile aggiungere al Bando predetto qualche disposizione suppletiva, che consentisse anche ad altre categorie di persone interessate per ragioni di passione, di studio o di professione, di prendere parte al concorso suddetto. La S.V. III.ma ed i componenti la commissione sanno benissimo che l’Architettura dei Giardini, ha degli aspetti tuti particolari, ben distinti e diversi da quelli dell’Architettura edile; aspetti più specialmente ed intimamente connessi, con la conoscenza dello sviluppo, dell’effetto decorativo, e delle esigenze delle diverse piante da utilizzare nella piantagione. Ciò premesso mi sembra che sarebbe forse utile, estendere ad altre categorie di persone, la possibilità di prendere parte a tale concorso. Il fatto che anche all’estero e specialmente in Francia gli “Architectes paysagistes” più celebri provengono tutti dalla categoria dei tecnici del Giardinaggio più che da quelli degli architetti edili, potrebbe servire a giustificare questa mia domanda; basterebbe ricordare fra i tanti il celebre Edouard André, al quale si deve la creazione di molti dei più importanti giardini pubblici e privati non solo in Francia ma anche in molti altri paesi d’Europa e d’America; scrivo questo per dimostrare che non è forse del tutto inopportuna, ne ingiustificata questa mia richiesta. Mi permetto quindi di avanzare domanda, se la On. Commissione della S.V. III.ma degnamente presieduta, credesse conveniente di estendere la possibilità a tutte quelle persone che dimostrino in qualche modo di interessarsi seriamente all’Arte dei Giardini. La S.V. 111.ma vorrà scusarmi se mi sono preso la libertà di indirizzarLe la presente, e nell’attesa di un cortese cenno di risposta, gradisca Ill.mo Signor Presidente, i miei più devoti e distinti ossequi. 

Dev/mo
Pietro Portinai
R. Scuola Agraria Media Cascine

P.S. Lo scrivente, dopo aver conseguito il diploma della R. Scuola Agraria Nuova Media specializzata per la Pomologia Orti-coltura e Giardinaggio, fu all’estero per la durata di un anno, per perfezionarsi esclusivamente nell’arte dei giardini». 

Forte della sua esperienza formativa avvenuta in ambito internazionale, anche in seguito Porcinai non cessò mai di sottolineare la necessità della presenza di figure specifiche, gli architetti del paesaggio, con una sensibilità e una preparazione artistica per la progettazione del verde e capaci di affrontare con competenza tecnica i problemi ambientali. Proprio allora il giovane Porcinai dava inizio alla sua vita professionale e in questi anni risultano documentati i suoi primi lavori. Inizialmente, nel rispetto della tradizione e con il forte imprinting composito formale esercitato dal giardino della Gamberaia, da lui frequentato lungamente nella fanciullezza, propose soluzioni formali se-vere, di forte impostazione geometrica. Nel 1939 le leggi Bottai, a seguito della Corta di Atene sul restauro monumentale, espressero in Italia una nuova attenzione, intesa come tutela, nei confronti delle bellezze storiche e naturali. In quello stesso anno Pietro Porcinai dette una sua personale risposta in termini di intervento, con la misurata ed armoniosa realizzazione della piscina della villa i Collazzi a San Casciano, uno dei primi interventi importanti inseriti nell’ambito di un complesso monumentale. Coerentemente alla nuova sensibilità espressa in merito ai problemi di tutela e conservazione ambientale, nella primavera del 1939 sulle pagine del «Bullettino della R. Società Toscana di Orticultura» si denunciarono i danni apportati dalle drastiche potature ai maestosi alberi dei viali e dei parchi. Porcinai rispose nel numero successivo, attribuendo la responsabilità delle disastrose potature delle alberature agli urbanisti: 

«[…] che raramente conoscono lo sviluppo degli alberi le loro esigenze di ubicazione e di clima e li distribuiscono sulle piazze o nei viali, come se invece di creature vive bisognose di realizzare quella particolare foro vita, fossero colonnine di ghisa o di cemento[.. .]» 

polemizzando al contempo con l’atteggiamento degli architetti 

«[…] che non sempre sanno quali giuste relazioni possono esistere tra gli alberi di una data località e le costruzioni vicine, e di regola distruggono ogni pianta per timore che questa copra le loro “facciate” o ne turbi la “severità” [.. .]». 

In seguito ai suoi numerosi contatti internazionali, sottolineò sempre la necessità della formazione degli architetti del paesaggio, che acquisissero una sensibilità artistica, una capacità progettuale ed una specifica competenza tecnica e conoscenza botanica. Nell’ottobre del 1937, scrivendo sulla rivista «Domus», collegava la rinascita dei giardini contemporanei alla presenza di tali figure professionali, esperte di architettura e di storia dell’arte, ma soprattutto ottime conoscitrici del mondo naturale. La seconda guerra mondiale interruppe momentaneamente il dibattito sui giardini, ma la fine del conflitto aprì le porte ad un ulteriore approfondimento, oltre che delle problematiche della ricostruzione e delle nuove espansioni, anche di quello relativo alla manutenzione e al restauro. Pietro Porcinai non perse l’occasione di interessarsi dei gravi danneggiamenti del parco delle Cascine, e indicò puntuali provvedimenti da adottare per tutelare sia il paesaggio toscano sia le opere d’arte. In particolare fu chiamato a far parte del Comitato per il riassetto del Parco delle Cascine istituito nel 1946 per l’ingente lavoro di ripristino. Fu una delle rare occasioni che Porcinai ebbe in ambito istituzionale. Uno dei suoi rammarichi fu proprio quello di non aver avuto in genere rapporti importanti con le istituzioni e i politici della sua città. Fu però in contatto con l’allora Assessore alle Belle Arti e Giardini di Firenze, Piero Bargellini in seguito sindaco di Firenze, che dimostrò sempre una grande sensibilità al tema del verde, inteso principalmente come arricchimento comune del patrimonio pubblico. Una testimonianza particolarmente significativa dei loro comuni intenti, è una lettera che Porcinai scrisse all’Assessore Bargellini nel 1953, suggerendo delle iniziative a favore delle piazze della città: 

«Chiarissimo Professore, non Le pare che l’aiuola in piazza della Stazione a Firenze non sia molto bella? L’idea dell’aiuola è molto opportuna, ma la sua realizzazione è invece deludente. 

Non è necessario che nelle aiuole circolari sia piantato sempre al centro […] si può benissimo piantare ai margini […] creando così qualcosa di nuovo e di più vivace. […] Lei che ricopre un’alta carica nel Comune di Firenze, dovrebbe farsi promotore di una iniziativa che senza dubbio darà i suoi frutti: ogni piazza della nostra ritta dovrebbe essere “affidata” ad un artista, scelti tra tutti i più seri, con il compito di curarla in rapporto alle esigenze urbanistiche cittadine. Potrebbe darsi che questa idea, opportunamente lanciata e guidata, si potesse realizzare, e sarebbe un bene per tutti». 

Il rapporto con gli artisti e l’apporto dell’arte, come la scultura, l’architettura, la musica, è stato sempre un tema che ha affascinato Porcinai. Affiancò Pietro Consagra e Marco Zanuso nella realizzazione del Paese dei Balocchi, il parco dì Pinocchio a Collodi dove espresse tutta la sua liricità e sapienza compositiva, attraverso architetture e sculture vegetali che ambientavano e facevano da contrappunto alle opere d’arte vere e proprie, per esempio dipingendo un moderno parterre, intorno alla Fata Turchina, utilizzando i colori della natura con fioriture bianche e azzurre, o contornando il lago con la balena con un vibrante anello di bambù. Anche se il suo campo dí maggior espressione è stato il giardino in tutti i suoi aspetti più poetici e simbolici, Porcinai ha affrontato tutti i temi del paesaggio, dall’inserimento delle infrastrutture, ai problemi ecologici e di impatto ambientale, e non ha mai cessato di interessarsi dei problemi di Firenze, intervenendo con scritti ai giornali, con progetti che ipotizzavano soluzioni intelligenti, all’avanguardia e sempre con un’interpretazione rispettosa dei luoghi. Anche durante i nostri colloqui aveva evidenziato alcune delle questioni che lo interessavano e lo appassionavano, come la decisione della copertura del Torrente Affrico da parte del Comune, e la conseguente sistemazione successiva. Porcinai, ben conoscendo situazioni similari realizzate nei paesi nordici, ne criticò l’errata impostazione che prevedeva la doppia viabilità ai lati, lungo i fronti delle abitazioni, e creava al centro le aree verdi e i parcheggi. Ribaltandone totalmente la distribuzione, eseguì degli schizzi alternativi in cui le corsie di traffico erano poste al centro dell’asse stradale sulla zona di copertura del torrente, fiancheggiate da entrambi i Iati da fasce di aree verdi continue, che si saldavano con i giardini antistanti gli edifici privati. In tale modo si evitavano anche i notevoli apporti di terreno sulla soletta necessari a garantire agli alberi sufficiente profondità per l’apparato radicale, e i percorsi pedonali sarebbero stati creati tra il verde con piccoli rìmodellamenti di terreno piantatì con arbusti, siepi e piccole alberature per ridurre l’inquinamento ed attutirei rumori. Un tema ancora molto attuale che infatti ebbe sempre presente e che cercò dì risolvere fu proprio il rapporto con i moderni mezzi di trasporto di cui intuì l’invadenza, la limitazione dello spazio naturale e le problematiche che avrebbero innescato. Nei suoi interventi cercò sempre soluzioni che dessero alle automobili una loro propria sistemazione e localizzazione, che doveva essere schermata alla vista e non in prossimità dalle abitazioni. Esemplificativi sono i suoi interventi nei giardini privati. In particolare, a villa il Roseto trasformò completamente i piani del giardino, creando davanti all’edificio un giardino pensile, sopraelevato di quattro metri rispetto al precedente, dal quale fosse possibile godere della vista su Firenze. Lo spazio sottostante, con una serie di volte ribassate sorrette dalle numerose colonne dí cemento, diventò il nuovo accesso ipogeo, espresso in un ampio salone decorato a graffiti e pavimentato in ciottoli policromi che costituiva il parcheggio coperto e occasionalmente il salone per le feste. Una suggestiva scala autoportante, con una raffinata balaustra in cui furono intagliati motivi albertiani, consentiva di accedere al giardino soprastante. Il motivo del cerchio fu la matrice del progetto di questo giardino molto costruito, realizzato con masse sinuose di bosso topiato. La piattaforma sulla quale fu realizzato il giardino pensile rimase completamente invisibile dalla strada, schermata da una fitta cortina di lecci a cespuglio piantati dal basso, nello spazio lasciato libero tra il muro di recinzione e la nuova struttura. Nell’intervento per villa l’Apparita a Siena, attribuita a Baldassarre Peruzzi, modificando gli accessi e modellando il profilo del suolo, deviò il percorso d’accesso carrabile dalla posizione di fianco alla loggia, dove determinò un ampio soggiorno all’aperto, indirizzandolo — con un tracciato ellittico e incassato nel terreno — fino a un parcheggio parzialmente coperto da un tetto in coppi e tegole e circondato da scar-pate piantate massivamente con rose e ginestre. Un sentiero pedonale a schiena d’asino, lievemente in salita, fu realizzato per consentire l’ingresso dell’abitazione. Pur intervenendo pesantemente con i movimenti di terra, il risultato fu di totale naturalità, in armonia con il morbido paesaggio delle colline senesi. Anche nel giardino privato di villa II Martello, a Fiesole, in via Benedetto da Maiano, perfettamente inserito nel tessuto agrario con straordinari affacci su Firenze e Fiesole, gli elementi architettonici furono limitati stemperandosi nella composizione che assumeva, allontanandosi dalla villa, caratteri sempre più agresti. Anche in questo caso creò un nuovo accesso carrabile, in una strada vicinale a fianco dell’abitazione, a terminare in un garage completamente interrato e schermato dalla vegetazione. Anticipando le tecnologie — che successivamente si ricercarono e che attualmente sono in uso — del prato armato inerbito, realizzò il percorso carrabile con mattoni posti di coltello a consolidare il prato. In uno dei suoi ultimi interventi, negli anni 1984-85, un’imponente villa sulla via Bolognese a Firenze, deviò il percorso carrabile d’accesso che, perpendicolare alla strada, giungeva proprio davanti all’ingresso della villa. Realizzò una scalinata per raggiungere il piano della villa, lasciando le siepi di rosmarino a sottolineare il tracciato rettilineo dell’antico percorso. Disegnò un viale carrabile che, sviluppandosi nella parte a valle del giardino, si concludeva in un parcheggio che venne schermato da una pergola in ferro elegantemente disegnata. Il tema della pergola, utile per schermare e delimitare stanze all’aperto, fu infatti un altro dei temi particolarmente cari a Porcinai, declinato in vari modi, utilizzando materiali e forme sempre diversi. Un esempio significativo risultò quello nel giardino della villa il Castelluccio a Santa Croce sull’Arno, dove furono posti a confronto un pergolato in legno molto poetico e una elegante struttura in ferro e vetro a proteggere la piscina, oppure quello nel giardino senese dell’Apparita, dove una pergola rustica e minimale venne addossata alla casa prestigiosa. Tutte le opere di Porcinai, pur così diverse tra loro, risultano creazioni o reinterpretazioni interessanti e profonde, mai banali o superficiali, dove i problemi vengono sempre brillantemente risolti. E dove il tutto si coniuga in un’armonia generale nel rispetto del passato e nell’affermazione del presente, tra tradizione e innovazione, in perfetto equilibro tra poetica e tecnologia. 

Intevista a Pietro Porcinai

Nella magica quiete del suo studio laboratorio sui dolci colli di Fiesole, studia e lavora da più di trenta anni uno dei più grandi architetti di giardini e di paesaggi del mondo, Pietro Porcinai. L’incantevole villa Rondinelli-Vitelli, che nel Quattrocento era la casa degli ospiti dei Medici, sembra il luogo ideale per chi da una vita si occupa di verde privato e di verde pubblico.

“È stato un amore a prima vista”, racconta Porcinai con il suo bell’accento fiorentino. “Mi innamorai della villa appena la vidi, e decisi di prenderla in affitto, anche se era decisamente al di sopra delle mie possibilità economiche. Allora apparteneva alla principessa Isabella Boncompagni Ludovisi, che aveva già 92 anni e che fortunatamente mi preferì ad altri. Per due anni andai li soltanto per pensare. Poi uno dei nipoti che l’aveva ereditata decise di venderla, e io, che non ero ricco ma avevo molti amici su cui contare, riuscii a ottenere un grosso prestito da una banca e la comprai. Dovette però passare ancora del tempo prima di poterla considerare mia, perché l’eredità si rivelò complicatissima, in quanto gli eredi erano numerosi e in discordia fra loro”.

Saggio di Pietro Porcinai

In senso concreto, il “verde” nell’urbanistica non può certamente limitarsi a ciò che spesso avviene di vedere nei piani e progetti, cioè la mera indicazione, non sul terreno, ma sulle planimetrie, di quel colore in corrispondenza delle aree destinate ad esser piantate ad alberi, a cespugli generici, o a prato. Deve essere invece molto di più.

Anzitutto è bene rammentare che piantando senza precise vedute, od anche chiamando, ad opere eseguite, un giardiniere che infili piante nella terra, l’azione a pro del “verde” sarebbe molto simile a quella di certi ingegneri del passato i quali fatto l’edificio chiamavano l’architetto per fare la facciata.

Ebbene, quando si tratta del verde, oggi, da noi in Italia (ma non solo in Italia) siamo purtroppo proprio al caso della facciata pensata e disegnata a posteriori, dato che ben di frequente le zone verdi o sono lasciate all’abbandono o son fatte piantare a talento dal primo qualunque operaio sedicente giardiniere che capita a portata di mano.