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IL BUSHIDO & IL GIARDINO ZEN C'è una connessione culturale e filosofica tra il giardino giapponese Zen e il Bushido, anche se non direttamente correlata. Entrambi riflettono gli aspetti più ampi della cultura giapponese, in particolare quelli legati al buddhismo Zen e alla filosofia che ha influenzato la società giapponese nel corso dei secoli. Il giardino giapponese Zen è spesso associato alla meditazione e al contemplare la natura. I giardini Zen sono progettati con cura per creare un'atmosfera di calma, armonia e semplicità. Elementi come rocce, sabbia, acqua e piante vengono utilizzati in modo strategico per stimolare la riflessione e la contemplazione. La ricerca di equilibrio, armonia e bellezza nella natura è un principio fondamentale sia nel giardino Zen che nel Bushido. Il Bushido, d'altra parte, è il codice etico dei samurai, e tra i suoi principi ci sono l'onore, la lealtà, la giustizia e la compassione. Questi principi, influenzati dalle tradizioni spirituali giapponesi, includono anche un profondo rispetto per la natura e la vita. I samurai erano spesso influenzati dalla filosofia Zen, che insegnava la meditazione e la consapevolezza nel momento presente. Entrambi, il giardino giapponese Zen e il Bushido, condividono un'apprezzamento per la natura, la bellezza, la semplicità e la ricerca di un equilibrio armonioso nella vita. Anche se non esiste una connessione diretta, entrambi sono espressioni della cultura giapponese che riflettono valori simili e la profonda connessione tra l'uomo e la natura. I luoghi della meditazione
Testo di Pietro Porcinai e Attilio Mordini

Giardini d'occidente e d'oriente

Secondo il mito la storia del Giappone ebbe inizio quando il ponte che univa il Cielo alla Terra fu distrutto e Gimmu Tennò divenne il primo degli imperatori terreni, dopo che per tanto tempo le divinità stesse del Cielo avevano governato, non senza guerra, il paese. Dovette da allora rimanere agli uomini un’insopprimibile nostalgia di quell’aereo ponte che era via al cielo, di quel cielo diventato isola inaccessibile. Forse l’anima del Giappone si chiuse in se stessa come il Giappone entro il suo mare, per essere poi capace di ritrovare nella vita della natura la presenza del paradiso. E da quella mitica nostalgia nacquero i giardini. Quando nel VI secolo d.C. il Buddhismo Zen, importato dalla Cina, si diffonde, non senza ostacoli, nel clima fortemente poetico dello Shintoismo, abbiamo già in atto gli elementi religiosi e psicologici essenziali alla fioritura dei giardini.

La religione shintoista, considerata la religione originaria e nazionale del Giappone, insegna a guardare alla natura come veicolo o espressione della divinità o, meglio, delle diverse divinità, siano esse quelle dei monti, delle sorgenti o quelle del vento o del fuoco. Lo Zen era, più che una teoria, un metodo di vita, era meditazione ed esercizio insieme, era il vivere la vita del Tutto entro e al di sopra della propria personalità che in Giappone si traduce e si realizza in termini quasi guerreschi di lotta, di eroico controllo, di rinuncia.

IL GIARDINO GIAPPONESE Per secoli i giardini giapponesi si sono sviluppati sotto l’influenza dei giardini cinesi, ma a partire dal Periodo Heian i progettisti di giardini giapponesi cominciarono a sviluppare i loro stili, basati su materiali della cultura giapponese. Durante il periodo Edo, dal XVII al XIX secolo, il giardino giapponese raggiunge il suo massimo livello e cristallizzò le sue forme in aspetti distinti, in particolare nello stile cosiddetto kaiyū shiki ( “stile passeggiata”) caratterizzato da una forte complessità compositivi e diffuso fra i giardini laici. Successivamente, a partire dalla fine del XIX secolo, i giardini giapponesi hanno iniziato a modellarsi fondendosi con le influenze occidentali. I giardini laici degli imperatori e nobili sono stati progettati per la ricreazione e il piacere estetico, mentre i giardini religiosi di templi buddhisti sono stati progettati per la contemplazione e la discussione filosofica, in particolare con riferimento al mappō; una terza categoria intermedia è costituita dai giardini delle case per la cerimonia del tè. La credenza popolare per cui i giardini giapponesi servano per la meditazione è errata, dato che le pratiche ascetiche buddhiste si svolgono sempre al chiuso in specifici edifici chiamati zendō e mai all’aperto. Caratteristiche La caratteristica basilare del giardino giapponese è la presenza costante e inderogabile di quattro elementi standard combinati fra loro: rocce, acqua, vegetazione antropizzata, “manutenzione delle piante”), manufatti paesaggistici, “elementi del paesaggio”). I quattro elementi sono stati fissati da un testo anonimo dell’XI secolo intitolato Sakuteiki, in cui si spiega come devono essere usati e giustapposti fra loro; le spiegazioni, benché spesso criptiche e ricche di regole e divieti, chiariscono che al giardino viene attribuito un doppio valore spaziale e umano, spesso instaurando un rapporto fra spazio e uomo di tipo esoterico. La principale discriminante fra i vari stili di giardini giapponesi è la presenza o meno del secondo dei quattro elementi, ovvero l’acqua. La difficoltà di approvvigionamento dell’acqua in alcune località ha infatti portato i realizzatori di giardini a optare per soluzioni che non la prevedessero affatto. Data però l’obbligatorietà della presenza dell’acqua sancita dal Sakuteiki, i realizzatori hanno studiato varie maniere creative per incorporarla metaforicamente, arrivando alla creazione dei karesansui, ovvero giardini secchi in cui la presenza dell’acqua è rappresentata da distese di ghiaia che mimano il mare o di rocce che mimano cascate o altro, attraverso la tecnica paesaggistica del mitate (“imitazione”). I karesansui non sono una categoria a parte di giardini, ma un metodo di allestimento che può riguardare l’intero giardino o solo parte di esso, e fin dalla loro creazione nel XIV secolo da parte del monaco buddhista Musō Soseki si sono diffusi sia nei giardini religiosi sia in quelli laici, sia in quelli di dimensioni più estese sia negli tsubo niwa , giardinetti ricavati nelle intercapedini fra un edificio e un altro. Una categoria intermedia di giardino religioso-laico è il roji , il giardino rustico che circonda interamente o in parte la chashitsu ( “casa da tè”) al cui interno si svolge la cerimonia del cha no yu. Questi giardini sono generalmente di dimensioni molto ridotte e sono caratterizzati da una precisa simbologia nell’uso dei quattro elementi poiché rappresentano una sorta di area di passaggio fra il mondo reale e quello simbolico all’interno della chashitsu. Nell’Antichità I primi giardini giapponesi furono quelli per il piacere degli imperatori giapponesi e dei nobili. Sono citati in diversi brevi passaggi del Nihongi, la prima cronaca della storia giapponese, pubblicato nel 720. Nella primavera dell’anno 74 riporta: «L’imperatore Keikō ha fatto mettere alcune carpe in uno stagno, felice di vederle al mattino e alla sera». L’anno successivo: «L’imperatore ha fatto mettere una barca a doppio scafo nello stagno di Ijishi a Ihare, e se ne andò a bordo con la sua concubina imperiale, e banchettarono sontuosamente insieme». Infine al 486 riporta «L’imperatore Kenzō andò in giardino e banchettò a bordo di una barca in un ruscello». Il giardino cinese ha avuto un’influenza molto forte sui primi giardini giapponesi. Nel 552 circa il buddismo è stato importato ufficialmente in Giappone, attraverso la Corea, dalla Cina. Tra il 600 e il 612, l’imperatore giapponese inviò quattro delegazioni alla corte della dinastia cinese Sui. Tra il 630 e l’838, la corte cinese ha inviato altre quindici delegazioni alla corte della dinastia Tang. Queste delegazioni, con più di cinquecento membri ciascuna, includevano tra l’altro diplomatici, studiosi, studenti, monaci buddisti e traduttori. Hanno così importato la scrittura cinese, oggetti d’arte e descrizioni dettagliate di giardini cinesi. Nel 612, l’imperatrice Suiko fece costruire un giardino costituito da una montagna artificiale, che rappresenta Shumi-Sen, o Monte Meru, ritenuto nella tradizione indù e buddhista il centro del mondo. Durante il regno della stessa imperatrice, uno dei suoi ministri, Soga No Umako, fece realizzare un giardino nel suo palazzo con un lago e numerose piccole isole, che rappresentano le isole dei famosi Otto Immortali delle leggende cinesi e della filosofia taoista. Il palazzo, quando divenne di proprietà degli imperatori giapponesi, venne chiamato “Il Palazzo delle Isole”, ed è stato menzionato più volte nella Man’yōshū, la “Collezione di Foglie Innumerevoli”, la più antica collezione conosciuta di poesia giapponese. In base alle limitate testimonianze letterarie ed archeologiche disponibili i giardini giapponesi dell’epoca furono versioni modeste dei giardini imperiali della dinastia Tang, con grandi laghi su cui si trovavano isole e montagne artificiali. Le coste degli stagni erano realizzate con rocce pesanti. Anche se questi giardini avevano alcuni simboli buddisti e taoisti, erano pensati come giardini di piacere e posti per feste e celebrazioni. ESTETICA E FILOSOFIA

Cha no yu

Tra le arti tradizionali giapponesi più emblematiche del pensiero zen, la cerimonia del tè — chanoyu o cha no yu — occupa un posto di rilievo. La sua forma definitiva si deve al monaco buddhista zen Sen no Rikyū, vissuto nel XVI secolo, che fu maestro del tè presso le corti di due tra i più importanti signori feudali del Giappone: Oda Nobunaga e, successivamente, Toyotomi Hideyoshi. Rikyū perfezionò e codificò una pratica nata nei secoli precedenti grazie all’opera di altri monaci zen, tra cui Murata Shukō e Takeno Jōō, ponendo le basi di quello che oggi conosciamo come wabi-cha — uno stile che esalta la semplicità, l’essenzialità e la bellezza imperfetta delle cose.

Lontana da ogni ostentazione, la cerimonia del tè secondo Rikyū è al tempo stesso rito estetico e pratica spirituale, fondata sui principi del rispetto, dell’armonia, della purezza e della tranquillità. A seconda delle scuole e delle tradizioni, chanoyu può assumere forme diverse, con stili e gesti che variano nei dettagli, ma che mantengono intatto il nucleo meditativo e relazionale che la caratterizza.

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FEMKE BIJLSMA To appreciate a traditional Japanese garden, one must first understand the beauty of a rock. Like every stone possesses a unique character and expression, its whimsical shape and the moss that grows upon it stimulate the imagination and unveil the beauty of the modest, the rustic, the imperfect, and even the decayed.

Among all Japanese gardens, Zen gardens are the most renowned. Mostly located in Kyoto and its surroundings, the Buddhist center of Japan and the origin of Zen gardens, they come in many different styles and forms but share the same purpose. They are all tools, vehicles for meditation and reflection. As such, they tend to be much more metaphorical than other gardens. The rocks, trees, pond, and milestones may seem natural and randomly placed, but they are carefully chosen and positioned. However, the Zen gardener aims to cultivate as if not cultivating, as if the gardener is part of the garden. In fact, Japanese Zen gardens appear assisted rather than ruled by the gardener.

You can stroll through a Zen garden, but more often, you are encouraged to simply look at it; viewpoints are meticulously directed. Here, at the Daitokuji temple, the garden is of a so-called flat style, appreciated from inside the building, in this case, the temple. One should absolutely not enter the garden, except with the eyes. Sitting on the veranda, you can observe the perfectly static yet natural image of moss, trees, and the bamboo forest in the background, which changes slightly depending on light, weather, and season. This has such a calming and meditative effect, freeing the mind from distractions and, in the best case, prompting profound insight. According to Zen Buddhism, we rediscover our lost but true Buddha nature by striving for a mental state free from material concerns.

The Japanese garden is often considered the aesthetic counterpart to the "Western" garden, being organic versus artificial. This may be true when compared to a French Renaissance-style garden, but other Western gardens actually share some principles with Japanese gardens. One such principle is the borrowed scenery concept, also applied in Florentine Renaissance gardens. Designers "borrowed views" when using background views from outside the garden, such as a mountain or the ocean, and transformed them into an integral part of the scenic composition. Another familiar element might be the panoramic walk, a path around the garden that creates the illusion of an extensive journey within a confined space, which, in this case, wraps around a pond. The same technique, albeit on a much larger scale, was used in English gardens.

What distinguishes the Japanese garden from the Western one is not so much its organic or natural appearance as its symbolic abstraction, and the ability to mimic the vastness of a broad landscape within a very limited space. An example is the use of white sand with a few rocks to suggest islands in the sea.

But the secret of the Zen garden lies in wabisabi. This Japanese word describes an aesthetic sensibility based on the appreciation of the transient beauty of the physical world. It is also the most difficult word to translate, and even the Japanese are not exactly sure what it means. As is typical of Zen: there is no truth, no perfection in form, only in the mind. Wabi Sabi. With its attention to the delicate subtleties, objects, effects, and environments of the natural world, wabi sabi promotes an alternative approach to the appreciation of both beauty and life itself. An approach that can serve as a launching pad or a bridge between the snares of the material world and the allure of a life of austerity and simplicity.
THE ZEN GARDEN
Tea ceremony room

Chashitsu

Il chashitsu è lo spazio architettonico tradizionalmente dedicato alla cerimonia del tè giapponese (chanoyu). Progettato per accogliere il maestro del tè e i suoi ospiti, questo ambiente è concepito non solo come luogo fisico, ma anche come spazio simbolico, in cui si realizza un’esperienza estetica e spirituale di profonda intensità. Oltre al termine chashitsu, vengono talvolta utilizzate espressioni come sukiya (letteralmente “dimora del gusto”) o kakoi (“recinto”), che sottolineano la natura raccolta e contemplativa di questi ambienti.

I chashitsu possono essere realizzati come edifici indipendenti immersi nella natura, spesso all’interno di giardini appositamente progettati, oppure integrati in strutture più ampie come residenze private o templi. Stilisticamente si distinguono due categorie principali: quelli in stile sōan (detto anche “stile paglia”), caratterizzati da un’estetica semplice, rustica e volutamente imperfetta, legata all’ideale wabi, e quelli in stile shoin, più formali e raffinati, derivati dall’architettura residenziale delle élite samuraiche.

All’interno del chashitsu, ogni elemento è disposto con cura per sostenere l’atmosfera di sobrietà e raccoglimento. Il cuore dello spazio è spesso il tokonoma, una nicchia decorativa dove viene esposto un kakemono (rotolo calligrafico o dipinto) e talvolta un semplice arrangiamento floreale (chabana), scelto in armonia con la stagione e lo spirito dell’incontro. Il focolare incassato nel pavimento, chiamato ro, viene utilizzato nei mesi freddi per riscaldare l’acqua per il tè, mentre nei mesi estivi si impiega un braciere portatile (furo).

L’arredamento è ridotto al minimo: tatami, porte scorrevoli (shōji) che filtrano la luce, e utensili per il tè — come il chawan (tazza), il chasen (frustino di bambù), il chashaku (cucchiaio per il tè), e la natsume (contenitore per il tè in polvere) — disposti secondo un ordine preciso e gestiti con gesti codificati. Ogni dettaglio, dal suono dell’acqua all’odore del tatami, concorre a creare un’esperienza di armonia tra interno ed esterno, tra gesto e silenzio.

JAPANESE GARDENS

Non è semplice determinare con esattezza l’origine di questo giardino. Secondo alcune fonti, la sua nascita può essere collegata alla costruzione del Canale Tatsumi nel 1632, ad opera di Maeda Toshitsune, terzo capo del clan Maeda, in carica dal 1605 al 1639. Questo canale fu successivamente inglobato, nel 1822, nel sinuoso corso d’acqua artificiale che attraversa il giardino. Altri invece attribuiscono l’origine del giardino al quinto daimyō del dominio di Kaga, Maeda Tsunanori (regno: 1645–1723). Nel 1676, egli fece erigere un padiglione chiamato Renchi-ochin (“Padiglione dello Stagno di Loto”) sulla collina prospiciente il Castello di Kanazawa, accompagnandolo con un giardino circostante, inizialmente denominato Renchi-tei, ovvero “Giardino dello Stagno di Loto”.

Purtroppo, un devastante incendio nel 1759 distrusse quasi completamente la struttura originaria, e oggi si conosce ben poco dell’aspetto e delle caratteristiche del Renchi-tei. Tuttavia, dai documenti conservati risalenti agli anni precedenti, sappiamo che il giardino era frequentato dalla nobiltà locale, che vi organizzava banchetti per ammirare la luna, osservare le foglie d’autunno e contemplare i cavalli, in un’atmosfera tipica dell’estetica e dello spirito dell’epoca Edo.

Una leggenda è legata alla Sorgente Sacra di Kenroku-en, considerata da molti come l’elemento più antico del giardino ancora esistente. Secondo il racconto, circa 1.200 anni fa un contadino di nome Tōgorō si fermò presso la sorgente per lavare delle patate. All’improvviso, frammenti d’oro cominciarono ad affiorare sulla superficie dell’acqua, dando così origine al nome della città: Kanazawa, ovvero “Palude d’Oro”. L’acqua della sorgente proviene da una vasca di purificazione situata presso un vicino santuario shintoista, e ancora oggi molte persone vi si recano per raccoglierne l’acqua da utilizzare nelle cerimonie del tè.

Un altro elemento significativo è lo Shigure-tei, una casa da tè costruita nel 1725 e miracolosamente sopravvissuta all’incendio del 1759. La sua presenza non solo testimonia la diffusione della pratica del tè già prima del disastro, ma rivela anche il profondo legame tra la cerimonia del tè e la cultura estetica che ha contribuito a modellare il giardino. Lo Shigure-tei continuò ad essere utilizzato anche dopo l’incendio e fu infine restaurato completamente durante il periodo Meiji.