Per secoli i giardini giapponesi si sono sviluppati sotto l’influenza dei giardini cinesi, ma a partire dal Periodo Heian i progettisti di giardini giapponesi cominciarono a sviluppare i loro stili, basati su materiali della cultura giapponese. Durante il periodo Edo, dal XVII al XIX secolo, il giardino giapponese raggiunge il suo massimo livello e cristallizzò le sue forme in aspetti distinti, in particolare nello stile cosiddetto kaiyū shiki ( “stile passeggiata”) caratterizzato da una forte complessità compositivi e diffuso fra i giardini laici. Successivamente, a partire dalla fine del XIX secolo, i giardini giapponesi hanno iniziato a modellarsi fondendosi con le influenze occidentali.
I giardini laici degli imperatori e nobili sono stati progettati per la ricreazione e il piacere estetico, mentre i giardini religiosi di templi buddhisti sono stati progettati per la contemplazione e la discussione filosofica, in particolare con riferimento al mappō; una terza categoria intermedia è costituita dai giardini delle case per la cerimonia del tè. La credenza popolare per cui i giardini giapponesi servano per la meditazione è errata, dato che le pratiche ascetiche buddhiste si svolgono sempre al chiuso in specifici edifici chiamati zendō e mai all’aperto.
Caratteristiche
La caratteristica basilare del giardino giapponese è la presenza costante e inderogabile di quattro elementi standard combinati fra loro: rocce, acqua, vegetazione antropizzata, “manutenzione delle piante”), manufatti paesaggistici, “elementi del paesaggio”). I quattro elementi sono stati fissati da un testo anonimo dell’XI secolo intitolato Sakuteiki, in cui si spiega come devono essere usati e giustapposti fra loro; le spiegazioni, benché spesso criptiche e ricche di regole e divieti, chiariscono che al giardino viene attribuito un doppio valore spaziale e umano, spesso instaurando un rapporto fra spazio e uomo di tipo esoterico.
La principale discriminante fra i vari stili di giardini giapponesi è la presenza o meno del secondo dei quattro elementi, ovvero l’acqua. La difficoltà di approvvigionamento dell’acqua in alcune località ha infatti portato i realizzatori di giardini a optare per soluzioni che non la prevedessero affatto. Data però l’obbligatorietà della presenza dell’acqua sancita dal Sakuteiki, i realizzatori hanno studiato varie maniere creative per incorporarla metaforicamente, arrivando alla creazione dei karesansui, ovvero giardini secchi in cui la presenza dell’acqua è rappresentata da distese di ghiaia che mimano il mare o di rocce che mimano cascate o altro, attraverso la tecnica paesaggistica del mitate (“imitazione”).
I karesansui non sono una categoria a parte di giardini, ma un metodo di allestimento che può riguardare l’intero giardino o solo parte di esso, e fin dalla loro creazione nel XIV secolo da parte del monaco buddhista Musō Soseki si sono diffusi sia nei giardini religiosi sia in quelli laici, sia in quelli di dimensioni più estese sia negli tsubo niwa , giardinetti ricavati nelle intercapedini fra un edificio e un altro.
Una categoria intermedia di giardino religioso-laico è il roji , il giardino rustico che circonda interamente o in parte la chashitsu ( “casa da tè”) al cui interno si svolge la cerimonia del cha no yu. Questi giardini sono generalmente di dimensioni molto ridotte e sono caratterizzati da una precisa simbologia nell’uso dei quattro elementi poiché rappresentano una sorta di area di passaggio fra il mondo reale e quello simbolico all’interno della chashitsu.
Nell’Antichità
I primi giardini giapponesi furono quelli per il piacere degli imperatori giapponesi e dei nobili. Sono citati in diversi brevi passaggi del Nihongi, la prima cronaca della storia giapponese, pubblicato nel 720. Nella primavera dell’anno 74 riporta: «L’imperatore Keikō ha fatto mettere alcune carpe in uno stagno, felice di vederle al mattino e alla sera». L’anno successivo: «L’imperatore ha fatto mettere una barca a doppio scafo nello stagno di Ijishi a Ihare, e se ne andò a bordo con la sua concubina imperiale, e banchettarono sontuosamente insieme». Infine al 486 riporta «L’imperatore Kenzō andò in giardino e banchettò a bordo di una barca in un ruscello».
Il giardino cinese ha avuto un’influenza molto forte sui primi giardini giapponesi. Nel 552 circa il buddismo è stato importato ufficialmente in Giappone, attraverso la Corea, dalla Cina. Tra il 600 e il 612, l’imperatore giapponese inviò quattro delegazioni alla corte della dinastia cinese Sui. Tra il 630 e l’838, la corte cinese ha inviato altre quindici delegazioni alla corte della dinastia Tang. Queste delegazioni, con più di cinquecento membri ciascuna, includevano tra l’altro diplomatici, studiosi, studenti, monaci buddisti e traduttori. Hanno così importato la scrittura cinese, oggetti d’arte e descrizioni dettagliate di giardini cinesi.
Nel 612, l’imperatrice Suiko fece costruire un giardino costituito da una montagna artificiale, che rappresenta Shumi-Sen, o Monte Meru, ritenuto nella tradizione indù e buddhista il centro del mondo. Durante il regno della stessa imperatrice, uno dei suoi ministri, Soga No Umako, fece realizzare un giardino nel suo palazzo con un lago e numerose piccole isole, che rappresentano le isole dei famosi Otto Immortali delle leggende cinesi e della filosofia taoista. Il palazzo, quando divenne di proprietà degli imperatori giapponesi, venne chiamato “Il Palazzo delle Isole”, ed è stato menzionato più volte nella Man’yōshū, la “Collezione di Foglie Innumerevoli”, la più antica collezione conosciuta di poesia giapponese.
In base alle limitate testimonianze letterarie ed archeologiche disponibili i giardini giapponesi dell’epoca furono versioni modeste dei giardini imperiali della dinastia Tang, con grandi laghi su cui si trovavano isole e montagne artificiali. Le coste degli stagni erano realizzate con rocce pesanti. Anche se questi giardini avevano alcuni simboli buddisti e taoisti, erano pensati come giardini di piacere e posti per feste e celebrazioni.
Secondo il mito la storia del Giappone ebbe inizio quando il ponte che univa il Cielo alla Terra fu distrutto e Gimmu Tennò divenne il primo degli imperatori terreni, dopo che per tanto tempo le divinità stesse del Cielo avevano governato, non senza guerra, il paese. Dovette da allora rimanere agli uomini un’insopprimibile nostalgia di quell’aereo ponte che era via al cielo, di quel cielo diventato isola inaccessibile. Forse l’anima del Giappone si chiuse in se stessa come il Giappone entro il suo mare, per essere poi capace di ritrovare nella vita della natura la presenza del paradiso. E da quella mitica nostalgia nacquero i giardini. Quando nel VI secolo d.C. il Buddhismo Zen, importato dalla Cina, si diffonde, non senza ostacoli, nel clima fortemente poetico dello Shintoismo, abbiamo già in atto gli elementi religiosi e psicologici essenziali alla fioritura dei giardini.
La religione shintoista, considerata la religione originaria e nazionale del Giappone, insegna a guardare alla natura come veicolo o espressione della divinità o, meglio, delle diverse divinità, siano esse quelle dei monti, delle sorgenti o quelle del vento o del fuoco. Lo Zen era, più che una teoria, un metodo di vita, era meditazione ed esercizio insieme, era il vivere la vita del Tutto entro e al di sopra della propria personalità che in Giappone si traduce e si realizza in termini quasi guerreschi di lotta, di eroico controllo, di rinuncia.
Immerso tra le colline di Hakone, risiede un museo d’arte come nessun altro, almeno in Giappone. L’Hakone Open-Air Museum è proprio questo, un museo aperto ai grandi spazi aperti con molto da vedere e molto da esplorare. Entrando nel parco, vieni portato giù da una scala mobile fino al “piano” del museo. Da qui puoi apprezzare le montagne circostanti e gli ampi terreni su cui si trova il museo. Armati di una pratica mappa inglese disponibile al cancello principale, l’idea migliore è quella di dirigersi immediatamente nel primo edificio fino a un banco anonimo con un addetto e noleggiare una “guida turistica” digitale.
Dovrai depositare ¥ 1000 (di cui riceverai ¥ 500 quando restituirai il dispositivo). Questo è un elemento utile per conoscere le numerose strutture all’interno del parco. Per conoscere ogni scultura, scegli semplicemente una lingua sulla mappa interattiva, quindi punta la scultura sulla mappa e la registrazione ti dirà tutto ciò che devi sapere sulla particolare scultura che stai visualizzando.
È una delle arti tradizionali zen più note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal monaco buddhista zen Sen no Rikyū, maestro del tè di Oda Nobunaga e successivamente di Toyotomi Hideyoshi. Il cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione fondata dai monaci zen Murata Shukō e Takeno Jōō. La cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha. Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi e in forme diverse.
Un chashitsu è una struttura costruita per l’ospite di una cerimonia del tè (maestro, ospite) per invitare gli ospiti e servire loro il tè nella cerimonia del tè in stile giapponese. È anche chiamata ‘cerimonia del tè’, ‘recinto’ o ‘sukiya’. Sono approssimativamente divisi in quelli in stile paglia e quelli in stile shoin, ma in generale si riferiscono spesso a quelli in stile paglia. In alcuni casi è costruito come edificio indipendente, in altri casi è integrato in un edificio come una sala studio.