Secondo il mito la storia del Giappone ebbe inizio quando il ponte che univa il Cielo alla Terra fu distrutto e Gimmu Tennò divenne il primo degli imperatori terreni, dopo che per tanto tempo le divinità stesse del Cielo avevano governato, non senza guerra, il paese. Dovette da allora rimanere agli uomini un’insopprimibile nostalgia di quell’aereo ponte che era via al cielo, di quel cielo diventato isola inaccessibile. Forse l’anima del Giappone si chiuse in se stessa come il Giappone entro il suo mare, per essere poi capace di ritrovare nella vita della natura la presenza del paradiso. E da quella mitica nostalgia nacquero i giardini. Quando nel VI secolo d.C. il Buddhismo Zen, importato dalla Cina, si diffonde, non senza ostacoli, nel clima fortemente poetico dello Shintoismo, abbiamo già in atto gli elementi religiosi e psicologici essenziali alla fioritura dei giardini.
La religione shintoista, considerata la religione originaria e nazionale del Giappone, insegna a guardare alla natura come veicolo o espressione della divinità o, meglio, delle diverse divinità, siano esse quelle dei monti, delle sorgenti o quelle del vento o del fuoco. Lo Zen era, più che una teoria, un metodo di vita, era meditazione ed esercizio insieme, era il vivere la vita del Tutto entro e al di sopra della propria personalità che in Giappone si traduce e si realizza in termini quasi guerreschi di lotta, di eroico controllo, di rinuncia.
Tra le arti tradizionali giapponesi più emblematiche del pensiero zen, la cerimonia del tè — chanoyu o cha no yu — occupa un posto di rilievo. La sua forma definitiva si deve al monaco buddhista zen Sen no Rikyū, vissuto nel XVI secolo, che fu maestro del tè presso le corti di due tra i più importanti signori feudali del Giappone: Oda Nobunaga e, successivamente, Toyotomi Hideyoshi. Rikyū perfezionò e codificò una pratica nata nei secoli precedenti grazie all’opera di altri monaci zen, tra cui Murata Shukō e Takeno Jōō, ponendo le basi di quello che oggi conosciamo come wabi-cha — uno stile che esalta la semplicità, l’essenzialità e la bellezza imperfetta delle cose.
Lontana da ogni ostentazione, la cerimonia del tè secondo Rikyū è al tempo stesso rito estetico e pratica spirituale, fondata sui principi del rispetto, dell’armonia, della purezza e della tranquillità. A seconda delle scuole e delle tradizioni, chanoyu può assumere forme diverse, con stili e gesti che variano nei dettagli, ma che mantengono intatto il nucleo meditativo e relazionale che la caratterizza.
Il chashitsu è lo spazio architettonico tradizionalmente dedicato alla cerimonia del tè giapponese (chanoyu). Progettato per accogliere il maestro del tè e i suoi ospiti, questo ambiente è concepito non solo come luogo fisico, ma anche come spazio simbolico, in cui si realizza un’esperienza estetica e spirituale di profonda intensità. Oltre al termine chashitsu, vengono talvolta utilizzate espressioni come sukiya (letteralmente “dimora del gusto”) o kakoi (“recinto”), che sottolineano la natura raccolta e contemplativa di questi ambienti.
I chashitsu possono essere realizzati come edifici indipendenti immersi nella natura, spesso all’interno di giardini appositamente progettati, oppure integrati in strutture più ampie come residenze private o templi. Stilisticamente si distinguono due categorie principali: quelli in stile sōan (detto anche “stile paglia”), caratterizzati da un’estetica semplice, rustica e volutamente imperfetta, legata all’ideale wabi, e quelli in stile shoin, più formali e raffinati, derivati dall’architettura residenziale delle élite samuraiche.
All’interno del chashitsu, ogni elemento è disposto con cura per sostenere l’atmosfera di sobrietà e raccoglimento. Il cuore dello spazio è spesso il tokonoma, una nicchia decorativa dove viene esposto un kakemono (rotolo calligrafico o dipinto) e talvolta un semplice arrangiamento floreale (chabana), scelto in armonia con la stagione e lo spirito dell’incontro. Il focolare incassato nel pavimento, chiamato ro, viene utilizzato nei mesi freddi per riscaldare l’acqua per il tè, mentre nei mesi estivi si impiega un braciere portatile (furo).
L’arredamento è ridotto al minimo: tatami, porte scorrevoli (shōji) che filtrano la luce, e utensili per il tè — come il chawan (tazza), il chasen (frustino di bambù), il chashaku (cucchiaio per il tè), e la natsume (contenitore per il tè in polvere) — disposti secondo un ordine preciso e gestiti con gesti codificati. Ogni dettaglio, dal suono dell’acqua all’odore del tatami, concorre a creare un’esperienza di armonia tra interno ed esterno, tra gesto e silenzio.
Non è semplice determinare con esattezza l’origine di questo giardino. Secondo alcune fonti, la sua nascita può essere collegata alla costruzione del Canale Tatsumi nel 1632, ad opera di Maeda Toshitsune, terzo capo del clan Maeda, in carica dal 1605 al 1639. Questo canale fu successivamente inglobato, nel 1822, nel sinuoso corso d’acqua artificiale che attraversa il giardino. Altri invece attribuiscono l’origine del giardino al quinto daimyō del dominio di Kaga, Maeda Tsunanori (regno: 1645–1723). Nel 1676, egli fece erigere un padiglione chiamato Renchi-ochin (“Padiglione dello Stagno di Loto”) sulla collina prospiciente il Castello di Kanazawa, accompagnandolo con un giardino circostante, inizialmente denominato Renchi-tei, ovvero “Giardino dello Stagno di Loto”.
Purtroppo, un devastante incendio nel 1759 distrusse quasi completamente la struttura originaria, e oggi si conosce ben poco dell’aspetto e delle caratteristiche del Renchi-tei. Tuttavia, dai documenti conservati risalenti agli anni precedenti, sappiamo che il giardino era frequentato dalla nobiltà locale, che vi organizzava banchetti per ammirare la luna, osservare le foglie d’autunno e contemplare i cavalli, in un’atmosfera tipica dell’estetica e dello spirito dell’epoca Edo.
Una leggenda è legata alla Sorgente Sacra di Kenroku-en, considerata da molti come l’elemento più antico del giardino ancora esistente. Secondo il racconto, circa 1.200 anni fa un contadino di nome Tōgorō si fermò presso la sorgente per lavare delle patate. All’improvviso, frammenti d’oro cominciarono ad affiorare sulla superficie dell’acqua, dando così origine al nome della città: Kanazawa, ovvero “Palude d’Oro”. L’acqua della sorgente proviene da una vasca di purificazione situata presso un vicino santuario shintoista, e ancora oggi molte persone vi si recano per raccoglierne l’acqua da utilizzare nelle cerimonie del tè.
Un altro elemento significativo è lo Shigure-tei, una casa da tè costruita nel 1725 e miracolosamente sopravvissuta all’incendio del 1759. La sua presenza non solo testimonia la diffusione della pratica del tè già prima del disastro, ma rivela anche il profondo legame tra la cerimonia del tè e la cultura estetica che ha contribuito a modellare il giardino. Lo Shigure-tei continuò ad essere utilizzato anche dopo l’incendio e fu infine restaurato completamente durante il periodo Meiji.
Stiamo eseguendo alcuni interventi tecnici. Alcuni contenuti o funzionalità potrebbero risultare temporaneamente non disponibili. Ci scusiamo per il disagio.