La storia dell’arte italiana dei giardini è stata trattata finora seguendo due linee espositive ben distinte: la prima propensa ad esaltare quest’arte nel suo massimo splendore rinascimentale e barocco, privilegiando quindi la storia del giardino «all’italiana», piuttosto che quella del giardino italiano; la seconda concepita come una seducente rassegna di giardini eccellenti, ognuno emergente con caratteri storici e artistici ben definiti. In entrambi i casi il giardino finiva per essere separato da quella evoluzione delle idee che ne aveva condizionato la nascita e rinnovato nel tempo l’aspetto, lasciando supporre che esso fosse più il prodotto di un isolato estro artistico che il risultato di una meditata riflessione maturata dall’uomo nei confronti della natura.
Quando i greci videro i parchi orientali ne rimasero colpiti ed affascinati, poiché la loro cultura, sebbene avanzatissima in tutte le arti, non aveva mai prodotto nulla di eguale. Una delle ragioni per le quali si sostiene che l’Antica Grecia non abbia prodotto sfarzosi giardini è riconducibile alla vita democratica delle polis, che avrebbe mal visto lo sviluppo di giardini privati come dichiarazione di ricchezza e benessere. Peraltro la cultura cretese-micenea fu amante dei fiori, difatti dai reperti possiamo dedurre una centralità del motivo floreale decorativo, come già era stato per quella egizia. Per i greci occuparsi del giardino era un’attività prevalentemente femminile o alla quale ci si poteva dedicare durante le pause tra una guerra e l’altra. Le influenze persiane si propagarono all’antica Grecia: attorno al 350 a.C. c’erano giardini presso l’Accademia di Atene e Teofrasto, considerato il padre della botanica, si suppone avesse ereditato il giardino di Aristotele.