Nel cuore della City di Londra, il Conservatory del Barbican Centre è un unicum dove architettura brutalista e vegetazione esotica dialogano con naturalezza. Nato nei primi anni ’80 come parte integrante del complesso culturale, è oggi una grande serra-giardino che avvolge passerelle e pilastri in cemento con fronde lucide, liane e chiome tropicali. L’esperienza è verticale: si osservano chiome e palme dall’alto, si scende tra vasche d’acqua con carpe koi, si percorrono corridoi inondati di luce diffusa.
Il microclima temperato–umido consente la coltivazione di specie tropicali e subtropicali che a Londra, all’aperto, non sopravviverebbero. Il risultato è un paesaggio verde stratificato: felci arborescenti e ficus che accentuano l’altezza della serra, rampicanti che ammorbidiscono le geometrie, palme da sottobosco che colonizzano gli interstizi, collezioni di cactus e succulente in contrasto con gli ambienti ombrosi. Per chi ama la botanica, è un laboratorio di adattamento: substrati ben drenati per le xerofite, irrigazione e nebulizzazione per gli epifiti, gestione della luce filtrata e del ricambio d’aria per ridurre stress e patologie.
Un campo, da qualche parte, appena fuori città. Per milioni di anni è rimasto a dormire sotto una coltre di ghiaccio. Poi arrivò un gruppo di individui dalle mascelle pronunciate, accese fuochi e, su un piedistallo di pietra, sacrificò un animale a divinità sconosciute. Passarono i millenni. Fu inventato l’aratro, qualcuno vi seminò grano e orzo. Il campo appartenne ai monaci, poi al re, quindi a un mercante e infine a un contadino che ricevette un generoso compenso dallo Stato per cederlo a una variopinta processione di ranuncoli, margherite e trifoglio rosso.
Questo campo ha avuto una vita intensa. Durante la guerra, un bombardiere tedesco, fuori rotta, lo sorvolò. Bambini, stanchi di lunghi viaggi in auto, si fermavano ai suoi margini per rimettere lo stomaco. Al calar della sera, qualcuno si sdraiava sull’erba a domandarsi se le luci nel cielo fossero stelle o satelliti. Ornitologi lo percorsero in lungo e in largo con calzini color sabbia, alla ricerca di famiglie di tordi bottaccio. Durante un viaggio in bicicletta attraverso le isole britanniche, due coppie norvegesi montarono le tende per passarvi la notte e, sotto la tela, cantarono Anne Knutsdotter e Mellom Bakkar og Berg. Le volpi osservavano curiose, i topi iniziavano timide esplorazioni. I lombrichi, invece, non lasciavano le loro gallerie.
Venezia ha origini antiche che risalgono alla fine dell’Impero Romano, quando le popolazioni delle città romane del Veneto cercarono rifugio nelle isole della laguna per sfuggire alle invasioni barbariche. Tra paludi e banchi di sabbia nacque una comunità che, grazie all’ingegno e alla determinazione dei suoi abitanti, si trasformò nei secoli in una delle potenze commerciali e marittime più importanti del Mediterraneo. Nel 697 fu eletto il primo doge, marcando l’inizio di una forma di governo repubblicano che avrebbe caratterizzato la Serenissima per oltre mille anni. L’indipendenza da Bisanzio e l’abilità nei commerci permisero a Venezia di estendere la propria influenza su vasti territori, dai Balcani fino a Cipro, e di diventare un crocevia di culture, merci e idee tra Oriente e Occidente. Il periodo di massimo splendore si ebbe tra il XIII e il XVI secolo, quando la città dominava le rotte commerciali e si arricchiva di palazzi, chiese e opere d’arte straordinarie. Con la scoperta delle rotte oceaniche e il declino del commercio nel Mediterraneo, Venezia iniziò una lenta decadenza, culminata con la caduta della Repubblica nel 1797 per mano di Napoleone. Passata poi sotto il dominio austriaco, fu annessa al Regno d’Italia nel 1866.
Oggi Venezia è patrimonio dell’umanità e simbolo unico di bellezza, ingegno e fragilità. La sua storia millenaria, i suoi canali, le architetture gotiche e rinascimentali e la sua vocazione artistica ne fanno una delle città più affascinanti e celebrate al mondo. Dietro le facciate eleganti di Venezia si nasconde un mondo meno conosciuto: i suoi giardini segreti. Questi spazi verdi, spesso nascosti da alte mura, sono rifugi di pace e bellezza che raccontano una storia di intimità e armonia con la natura. Nati come oasi private della nobiltà, i giardini veneziani uniscono architettura e vegetazione, con fiori esotici, alberi da frutto e pozzi che richiamano la laguna. Ogni dettaglio, dalle pergole alle fontane, riflette un legame profondo con la città e il suo spirito. Visitare questi luoghi, spesso accessibili solo in occasioni speciali, è un’esperienza unica che invita alla riflessione e svela un lato nascosto di Venezia, dove la bellezza si cela nei dettagli più segreti.
La Val d’Orcia è una delle aree più suggestive della Toscana, celebre per i suoi paesaggi armoniosi e incontaminati che sembrano usciti da un dipinto rinascimentale. Situata a sud di Siena, prende il nome dal fiume Orcia che la attraversa, modellando dolci colline punteggiate da cipressi, borghi medievali, vigneti e campi coltivati che mutano colore con il passare delle stagioni. Questo territorio, profondamente legato alla tradizione agricola e pastorale, ha saputo mantenere nei secoli un equilibrio raro tra uomo e natura.
Fin dal Medioevo, la Val d’Orcia fu attraversata dalla Via Francigena, la grande via di pellegrinaggio che collegava il Nord Europa a Roma, contribuendo allo sviluppo culturale ed economico dei centri abitati della zona, come Pienza, Montalcino, San Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia. Pienza, in particolare, è un esempio straordinario di città ideale rinascimentale, voluta da Papa Pio II e progettata da Bernardo Rossellino.
Oggi la Val d’Orcia è riconosciuta come patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO per la sua bellezza paesaggistica e il valore storico del suo assetto rurale. È un luogo che incarna l’armonia tra natura, arte e cultura, amato da artisti, fotografi e viaggiatori di tutto il mondo per la sua atmosfera senza tempo e la sua capacità di suscitare un senso profondo di pace e meraviglia.
Sacks ha saputo trovare un’isola di affinità, di amicizia intellettuale e di genuina e disinteressata erudizione riscoprendo il suo interesse infantile per le piante più antiche al mondo – le felci – e frequentando regolarmente le riunioni dell’associazione che se ne occupa, la American Fern Society. Non stupisce dunque che nel 2000, insieme a una trentina di altri pteridologi più o meno dilettanti, sia partito per una spedizione scientifica informale nella regione in cui sopravvive la più alta concentrazione mondiale di specie di felci – lo Stato di Oaxaca, in Messico – e che abbia tenuto un diario di quei dieci giorni di viaggio.
© 2002 OLIVER SACKS
All rights reserved
ILLUSTRATION © 2002 DICK RAUH
© 2015 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO
www.adelphi.it
ISBN 978-88-459-7619-3
The Fiesole landscape, predominantly hilly between the valleys of the Arno and Mugnone rivers, facing northward towards the expansive skyline of Florence, and remaining in various aspects archaic, constitutes a precious historical document, as articulated by Pietro Porcinai: “a palimpsest, a stratification of works (…) as if one had an open book before their eyes.” In this setting, gardens play a fundamental role, their form and structure intricately linked to the prevailing context, where cypress trees stand alongside Mediterranean shrubbery, with the backdrop provided by olive trees. From this unique landscape emerges the notion that understanding and identifying its fundamental characteristics, while respecting its landscape identity, are essential to preserving the values that art, history, culture, and tradition have bequeathed to us.
“Gli uomini che, in Cina, dal VI al IX secolo, forgiarono lo Zen, furono degli eccentrici, se non addirittura dei contestatori. L’arte è uno degli aspetti che rimisero in discussione, e alcuni di essi furono persino degli iconoclasti. Un atteggiamento analogo lo si ritrova in Giappone, dove lo Zen si radicò nel XIII secolo”.
Quindi il Zen-shu o Buddhismo Zen – dove il termine giapponese Zen, che equivale al cinese Chán, si può tradurre con meditazione – pur essendosi sviluppato nell’ambito della religione buddhista e avendo risentito della più antica scuola filosofica taoista, non era una religione né una filosofia. Esprimeva piuttosto un modo di pensare che determinava, per i suoi adepti, anche un modo essere:
“[lo Zen] mirando all’unione dell’individuo con la natura e ispirando il gusto per la semplicità e la serenità provoca una rivoluzione [anche] nel concetto di giardino”.
La vera conoscenza, secondo i monaci Zen, si raggiunge prendendo coscienza della natura del Buddha che è nascosta in ciascuno di noi, sconfiggendo quindi le preoccupazioni materiali e raggiungendo uno stato mentale di totale serenità, compostezza e distacco. Per raggiungere il risveglio vi sono tre vie: i dialoghi tra maestro e discepolo; la meditazione; le attività manuali. Questi tre percorsi vengono favoriti da luoghi, come i giardini, dove natura e arte possono far scoccare la scintilla della consapevolezza e quindi del satori (illuminazione).
Per gli antichi maestri Zen le pratiche religiose tradizionali e le arti (architettura, scultura, pittura e realizzazione di giardini), della quale erano sovraccarichi i templi cinesi, comportavano, per chi li frequentava, un eccessivo coinvolgimento con il mondo esterno e ostacolavano la ricerca dell’essenza profonda dell’uomo, preso nella sua interezza.
An important skill of Pietro Porcinai was his ability to identify real problems and understand the appropriate procedures, always ahead of his time thanks to a foresight rooted in tested technical foundations. In addition to his early and innate natural talent and professional intelligence, Porcinai also acquired specific training abroad, significantly ahead of others. Without a doubt, he was influenced by the landscape culture of those countries, particularly Germany and Belgium, where he gained experience in cultivation techniques at specialized nurseries.
In Italy, his education intersected with a crucial period in garden art: in 1924, Luigi Dami published Il Giardino Italiano, demonstrating Italy’s primacy in garden art. The native and distinctive nature of the Italian garden, reclaiming its prominence in a field that had become the subject of foreign, especially Anglo-Saxon, studies, culminated in the famous Mostra del Giardino Italiano of 1931 in Florence. This exhibition sought to celebrate Italy’s illustrious past but refrained from opening the path to exploring new modern forms in garden art.
The president of the exhibition’s executive committee was Ugo Ojetti, a supporter of monumental and stylistic architecture. As part of the event, ten ideal models of gardens were recreated, representing a sort of historical journey through the art of Italian gardens. These small scenographic creations also included the English landscape garden, even though it was considered alien to the national classical tradition.
Il Bosco della Ragnaia è un parco boschivo e giardino creato dall’artista americano Sheppard Craige a San Giovanni d’Asso, un piccolo paese in Toscana, vicino a Siena. Anche se alcune parti sembrano antiche, il Bosco è un’opera contemporanea che ha avuto inizio nel 1996 e continua ancora oggi. Sotto alte querce si possono trovare molte inscrizioni che accumulano muschio in attesa di essere notate da un visitatore. Alcune saranno familiari, altre enigmatiche, mentre altre ancora esprimono un senso capriccioso di Sheppard. Tra le costruzioni degne di nota vi sono: L’Altare dello Scetticismo, il Centro dell’Universo, e di un Oracolo di Te Stesso. Il Bosco non offre un senso, ma è, al contrario, aperto a tutte le interpretazioni.