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{{title}} READ MORE {{title}} READ MORE {{title}} READ MORE {{title}} READ MORE {{title}} READ MORE © ALESSIO GUARINO

La fine della mia vita si avvicina e il futuro del mio giardino mi preoccupa. Sembra ben protetto, dietro i suoi muri e le cortine d'alberi, ma io so che è molto vulnerabile. Basterebbero pochi anni di abbandono per farlo sparire dalla faccia della Terra. Mi preoccupo anche degli altri bei giardini che ho conosciuto, dove sono maturato e ho appreso tutto ciò che conosco della vita, dell'arte e della natura. Che ne sarà di Bomarzo, se un giorno qualcuno deciderà di ripulire il parco, trasformandolo in meta turistica? Cosa resterà della sua anima? E il mio caro parco di Sceaux, è già stato «riabilitato»? Domandarsi cosa ne sarà del giardino significa domandarsi cosa ne sarà dell'umanità, tanto intimo è il legame tra giardino e uomo. Da qualche mese i giornali parlano di guerra. La prossima, dicono, grazie ai progressi della tecnologia sarà la più distruttiva di quelle finora conosciute. Io penso a quell'altra guerra, nella quale ci impegniamo quotidianamente senza saperlo, assorbiti come siamo dalle mille incombenze quotidiane. Sto parlando della guerra che abbiamo dichiarato alla vita. Di questo conflitto, i danni della società industriale e materialista sono le forme più evidenti; il distacco dalla natura, la sua conseguenza più profonda. Quando la prossima guerra sarà finita ce ne saranno altre, e il progresso continuerà nella sua corsa e la Terra diverrà uno spazio sempre meno abitabile. Poco a poco, probabilmente, gli uomini si risveglieranno, come dopo un'ubriacatura, e si renderanno conto dell'errore commesso voltando le spalle alle loro origini. Vedremo finalmente che in fondo al deserto c'è solo un deserto. Sarà troppo tardi? Ci sarà ancora un giardino, accanto a noi, per dirci che sì, possiamo ritrovare la strada giusta, quella del ritorno? Nonostante tutto, la risposta che scaturisce dalla mia anima è: sì. I giardini sopravviveranno . Ne sono convinto. Finché ci saranno esseri umani che cercano di rinnovare un dialogo con la natura, ci saranno veri giardini, e quindi una speranza. Sopravvivranno come luoghi di dissenso. Non hanno già adesso questo ruolo, che non avrebbero mai pensato di dover sostenere?

Rileggendo queste pagine, scritte nel corso degli ultimi mesi, mi dico che se ho redatto questo trattato è stato solo per affermare che, nel grande deserto che è diventato il mondo degli uomini, non ci resta che Il giardino ! È il luogo più prezioso, e più fragile, della terra, l'ultimo rifugio. Che futuro lo attende? Non ci si è mai interessati tanto a quelli che spesso sono chiamati - con un'espressione che più spaventosa non si può - «spazi verdi». Nei moderni quartieri e nelle periferie più grigie e impersonali delle città, i nuovi parchi spuntano come funghi. La quantità di piante di cui disponiamo oggi supera di gran lunga i sogni più folli dei giardinieri del passato, e continua a crescere. Le riviste di botanica si moltiplicano e gli elenchi dei loro abbonati si allungano. Le tecniche di giardinaggio non smettono di evolversi e di offrirci nuovi strumenti che ci permettono di lavorare più in fretta e di risparmiare denaro ed energie. Nella nostra epoca, però, il giardino resta un estraneo o un sopravvissuto. Abbiamo visto che nella società moderna non ha un vero spazio, perché incarna tutto ciò che la civiltà occidentale ha lasciato dietro di sé: la poesia, la libertà, la felicità profonda, semplice dell'esistenza.

Il giardino non è mai perduto . Così, essendo troppo vecchio per credere alle rivoluzioni, non avendo mai avuto gusto per i manifesti politici, io non raccomando che una forma di ribellione: il giardinaggio. Fate giardini! Veri giardini, naturalmente, luoghi indomiti, fuorilegge. Io, che sono sempre stato allergico alla civiltà, con questo sangue di barbaro dell'estremo Nord che mi scorre nelle vene, ho curato un giardino selvatico. Voi scegliete lo stile che vi si confà. Tracciate il vostro disegno sulla faccia della Terra, che si presta sempre volentieri ai sogni dell'uomo, piantate un giardino e prendetevene cura. E proteggete anche quelli che restano e resistono, i vecchi luoghi abitati dalle piante che arrivano da lontano e continuano a sognare, nonostante l'insensato baccano che li circonda. Lavorate con i poeti, i maghi, i danzatori e tutti gli altri artigiani dell'invisibile per rimettere al suo posto il mistero del mondo. Ciò facendo, affronterete le forze contrarie che oggi sembrano più potenti che mai. Non opporrete al sistema vigente un'ideologia o un progetto politico, ma un semplice luogo con i suoi semplici valori. Non avrete il desiderio assurdo di cambiare il mondo: farete solo un piccolo spazio alla vita. La natura vi offre questa possibilità. Sicuramente non sarete soli in questa battaglia - benché sia improprio definire «battaglia» quest'opera tanto gradevole, dolce, colma di belle sorprese e di ricompense che è il giardinaggio. Gli dei sono dalla vostra parte. Sì, quegli dei che si è voluto scacciare, anche loro esuli sulla Terra, ma sempre infinitamente più saggi dei mortali. Stanno aspettando gli uomini, sorridendo dei loro errori e delle loro speranze, dietro il cancello aperto del giardino . e il giardino creò l’uomo. Jorn de Précy

Il secondo giardino, proprio davanti alla casa, era fatto di piccoli vialetti che giravano intorno a due aiuole verdi identiche; vi spuntavano rose, ortensie (fiore ingrato del sud-ovest), lunigiana, rabarbaro, erbe casalinghe in vecchie cassette, una grande magnolia i cui fiori bianchi arrivavano all’altezza della camera del primo piano; ed è là che, durante l’estate, impavide tra le zanzare, le signore e signorine B. si sedevano su sedie basse a fare dei complicati lavori a maglia.

«Questa casa era una vera meraviglia ecologica: non tanto grande, posta sul lato d’un giardino abbastanza vasto, sembrava un modellino in legno (tanto dolce era il grigio slavato delle sue persiane). Con la modestia d’uno chalet, ma piena di porte, di basse finestre, di scalinate laterali, come un castello da romanzo. Senza soluzione di continuità, il giardino conteneva tre spazi simbolicamente differenti (e oltrepassare il limite d’ogni spazio era un atto importante). Si attraversava il primo giardino per arrivare alla casa; era il giardino mondano, lungo cui si riaccompagnavano le signore bayonnesi, a piccoli passi, con grandi soste.

In fondo, il terzo giardino, a parte un piccolo orto con peschi e cespugli di lamponi, era indefinito, a volte incolto, a volte seminato con legumi ordinari; vi si andava raramente, e soltanto nel viale di mezzo». Il mondano, il casalingo, il selvaggio: non è la tripartizione stessa del desiderio sociale? Da questo giardino bayonnese, passo senza stupirmi agli spazi romanzeschi e utopici di Jules Verne e di Fourier. (Questa casa oggi è scomparsa, distrutta dall’Immobiliare bayonnese.) i tre giardini. Roland Barthes