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PIETRO PORCINAI | BASSANO DEL GRAPPA VILLA FAVINI © ALESSIO GUARINO cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper
I GIARDINI DI PIETRO PORCINAI

VILLA FAVINI | BASSANO DEL GRAPPA

La difficolta di questo lavoro, e non era da poco, consisteva nel riuscire a rendere abitabile, pratico, confortevole, un terreno di indubbio fascino ma estremamente ripido e scosceso, che si precipitava sul fiume Brenta ai suoi piedi. L’intesa tra Porcinai ed il proprietario, il colonnello Favini, personalità per lo meno altrettanto affascinante, poliedrica e geniale, fu subito perfetta, ed è noto che questo è uno dei requisiti più importanti per ottenere opere di pregio. Il risultato infatti è uno dei giardini senz’altro più riusciti di Porcinai, dove la bellezza del contesto è non solo valorizzata da un progetto originale, ma direi quasi rivelata. In primo luogo il giardino sembra molto più grande di quanto non sia in realtà; visto infatti sulla carta, i metri quadrati non sono molti, ma quando si incomincia a camminare per i sentieri e a scendere le scale, si ha l’impressione di grande respiro; indubbiamente l’ampiezza della vista, che si estende sul fiume, sulle montange e sul famoso Ponte degli Alpini, ha la sua parte, ma è proprio grazie al progetto che tutto ciò entra a tar parte del giardino.

L’impostazione è piuttosto semplice: una serie di bassi terrazzamenti, rivestiti da una rigogliosa vegetazione, che digradano dolcemente verso il basso. Quello più alto si trova allo stesso piano del soggiorno, è il più grande e naturalmente il più vissuto; è ombreggiato da una galleria di Lecci, la cui chioma, a circa due metri dal fusto, è potata in forma geometrica. Due scale con la pedata in pietra, una nella parte centrale e l’altra sull’estrema sinistra, permettono di scendere sino in riva al fiume. Porcinai aveva previsto, per il piano più basso una pavimentazione in ciottoli che richiamasse la grave del Brenta, ma si è poi preferito lasciarlo a prato. Per controbilanciare la marcata verticalità del giardino, la maggior parte della vegetazione consiste in arbusti e specie tappezzanti; molti rododendri, molte azalee, molta edera per ricoprire i muretti di sostegno. Erano previsti alcuni cipressi contro il confine sulla sinistra, per nascondere le case vicine e due aceri campestri (o a scelta due carpini) insieme ad un Faggio rosso vicino alla casa sul piano più alto.

Testo di Silvia Travaglini per gentile concessione.

 

Rif. Emilia Romagna e Veneto: MARCELLA MINELLI, FLAMINIA PALMINTERI, MARIO PERUZZO, SILVIA TRAVAGLINI, I giardini di Pietro Porcinai in Emilia Romagna e nel Veneto, Acerinternational, Lecco 1999

I GRANDI PAESAGGISTI DEL 900

PIETRO PORCINAI

Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini.

La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale.