Un lungo e maestoso viale di cipressi introduce alla villa dalla scenografica facciata barocca. L’edificio, d’impianto cinquecentesco, venne ampliato e ridisegnato nella prima metà del Seicento da Niccolò Santini, ambasciatore della Repubblica di Lucca alla corte di Luigi XIV, a cui si deve anche l’invenzione del fastoso giardino. Le ultime trasformazioni risalgono al 1816 in occasione delle nozze avvenute tra Vittoria Santini e Pietro Torrigiani. Il codice decorativo, dalle profonde implicazioni simboliche, che informa l’iconografia della fastosa facciata, declinata secondo l’eterna coppia di opposti maschile-femminile, tenebre-luce, cielo-terra si svela ancora come trama sottile dell’impianto decorativo del giardino. Nello splendido giardino segreto detto di Flora, uno degli episodi superstiti della redazione seicentesca, si celebra, con grande eleganza, la dialettica dei quattro elementi.
Il giardino, è racchiuso come uno scrigno prezioso tra alte pareti. Un ricamo di aiuole a siepi in bosso, occupa lo spazio centrale chiuso al fondo da un suggestivo ninfeo, dalla simbolica pianta ottagonale, dove l’ottagono sta a significare rinascita e trasformazione. Ancora sospese allegorie si svelano all’interno nelle raffigurazioni di Eolo e dei suoi quattro venti, ospitate in nicchie, che si aprono lungo il perimetro, dove i venti rinviano ai quattro punti cardinali, ma anche ai quattro temperamenti e alle quattro fasi dell’opera alchemica. I telamoni, che sorreggono le nervature della volta, foggiati in forma di Hermes, il messaggero degli dei e degli uomini, allegoria dell mercurio filosofico della grammatica alchemica, rimandano ancora metamorfosi degli elementi. Sulla sommità della cupola s’innalza una una statua di Flora, simbolo della rinascita della natura, che, ornata da fiori, domina l’intera composizione.
“All’esterno in due nicchie – annota nella prima metà del Settecento Geoge Christoph Martini nel suo “Viaggio in Toscana”–vi sono le statue di Ercole che tiene incatenato Cerbero alla catena e di Ercole che uccide il drago con la clava. Ambedue sono fatte di pietra e conchiglie che conferiscono loro un aspetto terribile; da esse schizzano forti getti d’acqua che innaffiano tutto il terreno antistante. Il padiglione stesso è una pregevole grotta piena di buon gusto; il cornicione è sorretto da dei Hermes la cui parte inferiore del corpo è a forma di coda di pesce che si intrecciano l’un l’altra. Alcune figure di mori sono fatte in pietra nera. Tra queste figure vi sono dei mascheroni e da questi, così come dagli Hermes, escono dei getti d’acqua incrociati in piacevoli variazioni […]Dai fiori della dea Flora esce una pioggia tanto dirotta che non si sa da che parte ripararsi”. Scherzi d’acqua, sapientemente dosati in un crescendo da getti filiformi fino diventare un vero e proprio diluvio, accompagnano il percorso che dalla peschiera superiore, attraverso eleganti scalinate ornate di statue e vasi, conduce al ninfeo.
“Quando si mette il piede su uno scalino della breve scala, esso si abbassa e dà la via ad una serie di getti che vengono addosso a chi sale.[…]. – racconta ancora il Martini – Chi si trovò per primo ad uscire fece un bagno tale che il custode delle grotte si scusò dicendo che quel signore si era procurato il danno da se stesso, perché aveva posato il piede proprio nella parte centrale della scala, e che in ogni caso aveva risparmiato tutti gli altri. Ma non risparmiò un maestro di scuola che si era insinuato nella nostra compagnia per godersi i giochi d’acqua ed ebbe così l’onore di ricevere una bella doccia sulla sua cappa nera” 21.G.C. Martini, Il giardino di Torrigiani a Camigliano.