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GIARDINI CONTEMPORANEI | EMILIA ROMAGNA LABIRINTO DELLA MASONA © ALESSIO GUARINO cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper

ITINERARI D'ARTE & NATURALISTICI

LABIRINTO DELLA MASONA DI FRANCO MARIA RICCI

Il Labirinto della Masone è un parco culturale costruito nei pressi di Fontanellato, in provincia di Parma. Si estende per sette ettari e comprende un labirinto costituito da bambù di specie diverse (il più grande al mondo di questo genere) e spazi che ospitano la collezione d’arte di Franco Maria Ricci e la sua casa editrice, mostre temporanee, conferenze e presentazioni, concerti, un ristorante, una caffetteria e una gastronomia. Il museo fa parte dell’Associazione dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli. Il Labirinto della Masone nasce da un’idea di Franco Maria Ricci, da sempre affascinato dai labirinti: Da bambino amavo i labirinti. Poi si sono sedimentati e, a un certo momento, sono tornati fuori. Ricci pensa per la prima volta di costruirne uno negli anni Ottanta, in seguito all’incontro e alla collaborazione con Jorge Luis Borges, celebre scrittore argentino che per la casa editrice di Ricci diresse la collana La Biblioteca di Babele. Ho discusso di labirinti tutta la vita, con Italo Calvino, con Roland Barthes, con Borges. Lui ne era ossessionato, li citava continuamente nei suoi racconti, come nel Tema del traditore e dell’eroe, dal quale Bernardo Bertolucci trasse il suo La strategia del ragno. Borges rimase ospite a casa mia venti giorni, negli anni Ottanta, e fu allora che iniziai a pensare di costruire un labirinto vero. L’idea inizia a prendere forma concreta all’inizio degli anni Duemila, grazie all’incontro con Davide Dutto, allora giovane studente torinese di architettura.

Dutto mi aveva proposto un affascinante progetto editoriale, da me accettato con entusiasmo […]L’idea era di ricostruire, con l’uso di nuovi software, l’isola di Citera, il luogo descritto nel più prezioso tra i libri a stampa, l’Hypnerotomachia Poliphili, pubblicato a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio; grazie al computer e grazie a Dutto che lo sapeva usare, il volume Il giardino di Polifilo, rivelò così l’immagine smagliante di quel luogo incantato e immaginario.[…]Le immagini ottenute da Dutto col computer mi ricordarono il labirinto e la vaga intenzione da cui ero stato sfiorato parlando con Borges, di costruirne uno. Chiesi l’aiuto di Dutto e ci mettemmo al lavoro.
Nel 2005 viene elaborato un progetto definitivo, che prevede la costruzione nella tenuta di Ricci vicino a Fontanellato di un labirinto in bambù e di edifici che possano ospitare la collezione d’arte e altro. Per quanto riguarda la parte botanica Ricci si affidò a Davide Dutto, e ispirandosi ai labirinti raffigurati in due mosaici romani, uno conservato al Museo del Bardo, l’altro al Kunsthistorisches Museum di Vienna, ne crea uno sul modello del labirinto, introducendo nello schema del labirinto romano trappole e bivi. Il perimetro, a forma di stella a otto punte, ricorda invece le città fortificate come Palmanova o Sabbioneta.

Per quanto riguarda invece gli edifici Ricci ha scelto di lavorare con Pier Carlo Bontempi, architetto parmense di fama internazionale. Nell’estate del 2005 vengono piantati i primi bambù, mentre nel 2010 inizia il cantiere degli edifici. I lavori terminano nel 2015, il Labirinto della Masone viene inaugurato il 29 maggio di quell’anno.

Il labirinto di bambù.

Franco Maria Ricci ha scoperto la sua passione per il bambù negli anni Ottanta. Ha piantato in questi anni più di 200.000 bambù e nel parco se ne possono trovare circa venti specie differenti, da quelle nane a quelle giganti. È una pianta dalla crescita estremamente rapida, che non si ammala, non si spoglia d’inverno, assorbe grandi quantità d’anidride carbonica. Alcuni dei bambù del Labirinto della Masone:

Giganti.

Phyllostachys viridis “Sulfurea”: bambù gigante, raggiunge i 18 metri d’altezza, e presenta una particolare colorazione di culmi: nascono di un verde chiaro leggermente striato di verde più scuro e in seguito diventano rapidamente giallo oro, pur mantenendo le striature verdi . Phyllostachys nigra Henonis: è uno dei bambù più alti del Labirinto, può raggiungere fino a 18 metri di altezza con il suo culmo dritto e rigido. Il legno è di eccellente qualità, tanto da essere molto ricercato per l’artigianato. Phyllostachys vivax aureocaulis: tra i bambù giganti che popolano il labirinto, vi è Phyllostachys vivax aureocaulis soprannominato “bambù cinese dorato” per il colore dei culmi. Proviene dalla Cina orientale, ha canne robuste, che possono arrivare fino a 15 metri di altezza. I culmi, che possono presentare delicate striature verdi, sono privi di foglie nel tratto medio- basale, perché queste ultime, lunghe 20 cm, cadono a mano a mano che i culmi si allungano.

Medi e nani.

Phyllostachys bissetii: specie rustica e vigorosa, dal portamento verticale, culmi fitti e fogliame denso. Le piante che nascono ogni anno tendono, in cerca della luce, a sovrastare quelle degli anni precedenti, formando con la parte alta della chioma vere e proprie gallerie. È il più utilizzato nel Labirinto e può raggiungere 8 metri d’altezza.
Hibanoubambusa tranquillans Shiroshima: è una specie piccola, dal portamento cespuglioso, chioma densa con foglie dalle eleganti striature di varie tonalità di verde e giallo chiaro. È particolarmente resistente al freddo e alla siccità. Pseudosasa Japonica: di altezza media, ha i culmi fini e verticali che crescono in ciuffi molto fitti mantenendo a lungo la guaina e foglie grandi e allungate, di un bel verde brillante sulla faccia superiore.

Collezione d’arte.

Adolfo Wildt, Vir Temporis Acti (1913)
La collezione d’arte, disposta su cinquemila metri quadrati, è stata raccolta da Franco Maria Ricci in circa cinquant’anni di attività, ne rispecchia il gusto personale ed è continuamente in espansione. Le opere, tra dipinti, sculture e oggetti d’arte, sono circa cinquecento. Parte dal XVI secolo, in particolare sono presenti opere di artisti manieristi, tra cui spiccano Girolamo Mazzola Bedoli, Luca Cambiaso e Ludovico Carracci. Il Seicento è ampiamente rappresentato sia in pittura che in scultura, con opere di Valentin de Boulogne, Philippe de Champaigne, Gian Lorenzo Bernini, Giambattista Foggini, Lorenzo Merlini. Ampio spazio è dedicato al XVIII e il XIX secolo, con tele di Francesco Hayez, Giovanni Carnovali, pastelli di Rosalba Carriera e Jean-Étienne Liotard, acquerelli di Giuseppe Pietro Bagetti, sculture in marmo di epoca neoclassica raffiguranti principalmente personaggi legati a Napoleone (e Napoleone stesso), ad opera di Antonio Canova, Lorenzo Bartolini, François Joseph Bosio e terrecotte di ambito francese. Una particolare attenzione è rivolta agli artisti originari del parmense o che vi hanno operato, dando un importante contributo artistico, tra cui Pietro Melchiorre Ferrari, Giuseppe Baldrighi e Jean Baptiste Boudard. Altro tema portante della collezione è quello delle Vanitas, nel quale spiccano le opere di Jacopo Ligozzi e Maurizio Bottoni. Per quanto riguarda il Novecento, sono da notare le sculture di Adolfo Wildt e di Demetre Chiparus, i dipinti di Antonio Ligabue e Alberto Savinio e le tempere di Erté. Infine sono presenti anche numerosi oggetti d’arte, tra cui un modello ligneo del Duomo di Milano e uno del duomo di Ulm, due denti di narvalo, e un altarolo in pietre dure ed ebano. Nella collezione figurano le tavole originali del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, che fu pubblicato nella sua edizione originale in due volumi da Franco Maria Ricci editore. L’allestimento non segue un ordine cronologico ma procede per temi e associazioni e sottolinea i parallelismi esistenti tra le scelte di editore e quelle di collezionista.

ITINERARI D'ARTE | PISTOIA

FATTORIA CELLE COLLEZIONE GORI

La Fattoria di Celle, è un complesso storico con una villa risalente al XV secolo, situato in località Santomato, presso Pistoia. Dalla seconda metà del Novecento la tenuta ospita la Collezione Gori, un’importante collezione di opere d’arte contemporanea.

Nel secolo XV la villa con i terreni annessi apparteneva ai Pazzaglia e in seguito passò ai Fabbroni, nobile e colta famiglia pistoiese alla quale si deve in massima parte sia la trasformazione dell’edificio, che la sistemazione del giardino. Questo venne trasformato nella prima metà del XIX secolo in parco romantico, su progetto dell’architetto Giovanni Gambini.

Il torrente Brana, che attraversa l’area del parco, venne abilmente utilizzato per la realizzazione di un lago in forme naturali corredato da un’isoletta ospitante un tempietto in forme neoclassiche e da un “orrido” roccioso, attraversato da un ponticello, su cui si infrange una cascata. Nelle vicinanze vi è un edificio neogotico, conosciuto come Tempietto della fonte e un monumento in stile egizio.