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ITINERARI STORICI | PIEMONTE REGGIA DI VENARIA REALE © ALESSIO GUARINO
ITINERARI NATURALISTICI & STORICI | PIEMONTE

REGGIA DI VENARIA REALE

La reggia di Venaria fu progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte. A commissionarla fu il duca Carlo Emanuele II che intendeva farne la base per le battute di caccia nella brughiera collinare torinese. Lo stesso nome in lingua latina della reggia, Venatio Regia, viene fatto derivare dal termine reggia venatoria. Al borgo si unirono molte case e palazzi di lavoratori e normali cittadini che vollero abitare nei dintorni della reggia, fino a far diventare Venaria Reale un comune autonomo della provincia di Torino. La scelta del sito, ai piedi delle Valli di Lanzo, fu favorita dalla vicinanza degli estesi boschi detti del Gran Paese, ricchissimi di selvaggina: un territorio che si estende per un centinaio di chilometri fino alle montagne alpine, giungendo a sud e a est in prossimità del capoluogo. Nel 2018 ha fatto registrare 1 048 834 visitatori, risultando il settimo sito museale statale italiano più visitato, mentre nel 2017, a dieci anni di distanza dall’inaugurazione del sito turistico, la Guida Michelin ha assegnato alla reggia di Venaria la terza stella. Nel 2019 il giardino della Reggia è stato eletto parco pubblico più bello d’Italia.

Probabilmente l’idea di creare una reggia a Venaria nacque da Carlo Emanuele II di Savoia dall’esempio del Castello di Mirafiori (o di Miraflores), luogo destinato alla moglie del duca Carlo Emanuele I, Caterina Michela d’Asburgo situato nel quartiere che da quella reggia avrebbe poi preso proprio il nome Mirafiori. Carlo Emanuele II, volendo anch’egli creare una reggia che si legasse al proprio nome e a quello della consorte, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, comprò i due piccoli villaggi di Altessano Superiore ed Inferiore dalla famiglia di origine milanese Birago, che qui aveva dato vita a importanti piantagioni. Il luogo venne in seguito ribattezzato “la Venaria” perché destinato agli svaghi venatori. I lavori vennero progettati dal 1658 ed affidati all’architetto Amedeo di Castellamonte. La costruzione cominciò nel 1659 e vennero completati, in ordine: la scuderia e la torre dell’orologio (1660), la Reggia di Diana (1663), Loggia e Teatro nel giardino superiore (1666), la piazza frontestante il palazzo (1667), le facciate gemelle delle chiese nella piazza del borgo (1669), la citroneria a fontana d’Ercole, il viale della Fontana d’Ercole (1671), il tempio di Diana (1673), i postici della via centrale del borgo (1679).

Dopo che il 1º ottobre 1693 i francesi (in guerra contro i Savoia nella guerra della Grande Alleanza) distrussero alcune costruzioni, Vittorio Amedeo II commissionò un ulteriore intervento sulla reggia, che venne ristrutturata ed ampliata sotto la direzione di e Michelangelo Garove. Vennero completati il padiglione sud-ovest (1702),il padiglione sud-est (1703-1713) e l’inizio della manica della Galleria Grande, che rimarrà incompiuta con la morte di Garove nel 1713. Inoltre, Garove rimodellò i giardini, demolendo il Tempio di Diana (1700), tracciando l’Allea Reale e prolungando il viale (1702), demolendo la citronieria seicentesca (1703), tracciando il Giardino Inglese (1710), realizzando gli Appartamenti verdi e demolendo la Loggia a Teatro seicentesca (1711). Inoltre, ulteriori danni vennero inflitti durante l’assedio del 1706, quando i francesi di Louis d’Aubusson de la Feuillade vi presero dimora, danneggiando molte strutture destinate, in quel periodo, ai soldati.

Nel 1716, Vittorio Amedeo II affidò il progetto a Filippo Juvarra che completò la Galleria Grande (1716), allestì il padiglione sud-est, costruí la Citroneria e la Scuderia Grande (1722-1727), e costruí la cappella di Sant’Uberto. Nei giardini, Juvarra demolì le fondamenta residue del tempio di Diana nel 1719 e nel 1725 realizzò il Labirinto ed il suo padiglione. Nel 1739, tre anni dopo la morte di Juvarra, Carlo Emanuele III scelse Benedetto Alfieri come nuovo direttore del progetto. Alfieri demolì la torre dell’Orologio e la ricostruì nello stesso posto (1739), eresse la manica del Belvedere (1751), la galleria tra la cappella e la Citroneria (1754), la piccola scuderia occidentale (1758) e quella orientale (1760), ed il maneggio (1761).

Anche durante la dominazione napoleonica la reggia subì serie trasformazioni, in particolare, i giardini, distrutti per farne una piazza d’armi: l’intero complesso, infatti, venne trasformato in caserma e, con la Restaurazione, questa destinazione fu mantenuta. Il complesso si confermò pure come il centro nevralgico della Cavalleria sabauda, ospitando, tra l’altro, una scuola di equitazione militare di prestigio europeo (in seno alla quale maturarono innovativi metodi di equitazione, di combattimento, di affardellamento) e un allevamento di stalloni. A causa dei gravi danni subiti durante l’occupazione francese, una volta sconfitto Napoleone e restaurato il Regno di Sardegna, la reggia di Venaria non tornò al suo precedente ruolo di residenza reale, ma divenne parte del Regio Demanio Militare. I decori e gli arredi recuperabili furono trasferiti negli altri palazzi e castelli della corte sabauda, ​​e il ruolo di residenza reale estiva fu assunto dal castello di Racconigi, da quello di Stupinigi e da quello di Agliè.

Durante il suo ruolo di struttura militare, che comprendeva l’appartenenza al Regio Demanio Militare dal 1851 al 1943, il complesso fu utilizzato dall’esercito. Ospitò dal 1850 al 1943 il Reggimento artiglieria terrestre “a cavallo”, la Regia Scuola Militare (oggi Scuola di cavalleria dell’Esercito Italiano), e il 5º Reggimento artiglieria terrestre “Superga”. Dall’inizio del ‘900, l’esercito cominciò gradualmente ad abbandonare il sito, e la proprietà fu gradualmente trasferita al ministero della cultura, a partire dal 1936 con la cappella di Sant’Uberto. Tolto il presidio militare, il palazzo divenne preda di atti vandalici e proseguì in un lento ed inesorabile abbandono. Data la mancanza di fondi per il sito, gli interventi del ministero della cultura furono stati minimi ed essenziali e mirati alla conservazione dell’integrità strutturale degli edifici. Negli anni ’40 fu intrapreso un piccolo restauro della cappella. Nel 1961, in occasione della celebrazione del centenario dell’Unità d’Italia, la Galleria e il Salone di Diana furono brevemente restaurati, anche se in maniera prevalentemente scenografica. Negli anni ’60 un gruppo di cittadini venariese diede vita al Coordinamento Venariese per la Tutela e Restauro del Castello, che avviò alcuni limitati lavori di recupero e valorizzazione del palazzo decadente. A partire dagli anni ’80, i fondi del FIO (Fondi di investimento occupazionale) sono stati impiegati per i primi lavori di riqualificazione, restauro e valorizzazione volti a sensibilizzare l’opinione pubblica.