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I GIARDINI FIESOLANI VILLA IL SALVIATINO © ALESSIO GUARINO cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper cdn_helper
Villa Il Salviatino

Giardini Fiesolani

La villa fu una fra le più note, fra le più rappresentative, fotografate, pubblicate di Firenze, perché essa è stata l’abitazione lussuosa, restaurata con ogni cura, splendida-mente arredata dal gusto e dalla raffinata signorilità d’un fiorentino d’adozione, Ugo Ojetti. La storia dell’edificio è legata a quella di grandi famiglie. Una volta questa villa, posta alla base della collina di Maiano, si chiamava il Tegliaccio perché dai primi proprie-tari, i Baldesi nel XIV secolo, e dai secondi, i Bardi nel XV era passata ai Tegliacci. Perdette quel nome quando passò prima ai conti Orsini di Pitigliano, in seguito ai Rucellai loro creditori. Questi la mantennero fino al 1517. Nel 1531 fu comprata poi dai Dal Borgo da Alamanno d’Averardo Salviati, che la fece ricostruire, forse da Gherardo Silvani, circondandola di un giardino e di comodi annessi. Il nome Salviatino deriva pertanto dal diminutivo dei Salviati, forse per distinguerla dal palazzo che la famiglia aveva sopra il Ponte alla Badia di Fiesole. La villa fu cantata da Francesco Redi:

Fiesole viva, eterno viva il nome
Del buon Salviati e del suo bel Maiano.

Dal lato architettonico, il Salviatino non era inferiore all’altra villa. Adesso può apparire come un palazzone ottocentesco piantato sulla collina, nel bel mezzo di quello che era un giardino romantico, ma guardandola da vicino si scoprono gli elementi cinquecenteschi e possiamo immaginarci la grandiosa villa con l’immensa loggia a sei archi in facciata e tre sui lati, chiusa dalle balaustrate di pietra serena e che non aveva ancora l’ultimo piano, costruito solo successivamente. “Il vecchio palagio – scrive appunto il Lensi Orlandi Cardini – si trasformò in una villa sontuosa e originale, che purtroppo non rispettarono i successivi rifacimenti. In quegli anni il Salviatino, col giardino di cui non resta più traccia, vide feste bellissime e sontuosi convegni, costituì un esempio unico e niovissimo di villa fiorentina, con l’aspetto grandioso e barocco da principesca residenza romana”. La proprietà dei Salviati durò a lungo, e soltanto nel 1821con l’estinzione della famiglia, la villa fu acquistata dal barone Francesco d’Antonio Frilli, maresciallo del regno di Napoli. La ereditarono poi i D’Almagro, la comprarono i Pini e, nel 1871,.Facquistò Girolamo Pagliano che “vi eresse un’altissima e sproporzionata torre”, come ricorda il Carocci. Fu poi il turno del conte Resse che, come afferma l’Orlandi: “si rese responsabile dello scempio finale quando affidò all’architetto Ristori il rifacimento generale e ne fece pitturare tutte le sale con decorazioni medievali, quelle decorazioni da castello valdostano che apparivano fugacemente sui muri precipitanti del centro di Firenze”. Il conte Resse restaurò la villa in stile cinquecentesco e diminuì l’altezza della torre. 11 principe Carrega di Lucedio acquistò poi la villa e le trasformazioni che seguirono “dettero alla torre proporzioni migliori riducendola in forma simile a quella della villa Reale della Petraia”. Ma per ritrovare il disegno originario di Gherardo Silvani si dovette attendere Ugo Ojetti. Con lui Il Salviatino divenne una delle “regge fiorentine” del primo Novecento, come I Tatti del critico d’arte Berenson o Montalto del bibliofilo De Marinis. Ugo Ojetti riaprì i quattro archi nel 1911, togliendo le decorazioni medievali e piantò un suggestivo giardino formale. La luce del Salviatino si spense quando, nel 1946, morì il suo principesco signore. Lo scrittore e critico d’arte aveva inoltre raccolto, all’interno della villa, una notevole collezione d’opere, andate disperse alla sua morte. Del giardino formale restano solo fotografie d’epoca dai toni contrastanti da cui emergono i vasi di limoni in primo piano e la mole potente della villa in alto. Percorso il viale ombroso d’accesso, popolato di fagiani e anche da cinghiali, si arriva alle serre ormai cadenti, al parterre inselvatichito attraverso il quale ci si deve aprire la strada tra rovi per salire alla villa abbandonata. Il disegno dei per-corsi non esiste quasi più e la pavimentazione in ciottoli policromi sta scomparendo.

Ines Romitti

FIESOLE

Fiesole è un immenso giardino con vista su Firenze e sulle colline d’intorno, un panorama che si disegna in un susseguirsi di linee ondulate protette dalla cornice dell’Appennino. Come tutti i giardini merita cura e attenzioni continue e minute e, in effetti, gli strumenti urbanistici degli ultimi quarant’anni, nei loro principi informativi e prescrittivi, hanno assunto la protezione di questa specifica particolarità del territorio, che si esplicita e si materializza in ogni frammento di paesaggio. Ogni elemento in un simile contesto diventa prezioso per la sua forma, le sue proporzioni, i suoi colori, la sua storia: pietre, vegetazione e manufatti diventano parti fondative di un tutto, di un in-sieme unitario e armonioso in cui gli interventi, anche minimi, se non sincronici, possono produrre gravi alterazioni nel paesaggio del Colle Lunato (esiste un nome più evocativo per un luogo?).

In simili contesti, soprattutto in relazione alle pressioni edilizie che inevitabil-mente vi sì scatenano, non è facile mantenere un equilibrio fra la conservazione dei luoghi e lo sviluppo delle attività. Per questo e per meglio comprendere la “misura” di Pietro Portinai è opportuna una breve puntualizzazione sugli strumenti urbanistici fiesolani. È verso la metà degli anni Settanta, che Fiesole si dota di un piano regolatore che ha come obiettivo prevalente la tutela del suo territorio, ma è nel 1983 che viene adottata la variante per le zone agricole, redatta da Gianfranco Di Pietro e Calogero Narese, e che l’amministrazione comunale assume la consapevolezza della unicità e della delicatezza del suo paesaggio.

GIARDINI STORICI ITALIANI

VILLA I TATTI

Il giardino all’italiana è uno stile di giardino di origine tardo-rinascimentale ed è caratterizzato da una suddivisione geometrica degli spazi ottenuta con l’utilizzo di filari alberati e siepi, di sculture vegetali di varia forma ottenute con la potatura di cespugli sempreverdi (topiarie), giochi d’acqua geometrici, spesso accostati ad elementi architettonici quali fontane e statue. Ha profondamente influenzato l’intera storia del giardinaggio, risultando decisivo anche per la nascita del giardino alla francese e, per contrasto, del giardino all’inglese. L’espressione “giardino formale” indica spesso proprio un giardino all’italiana o un giardino alla francese.

Il giardino all’italiana, sviluppatosi in Italia attorno alla metà del XVI secolo, è l’evoluzione del giardino medievale. Il primo giardino geometrico all’italiana viene tradizionalmente riferito all’ingegno di Niccolò Tribolo, che lavorò a Firenze ai giardini della villa di Castello, della villa Corsini e poi ai Giardini di Boboli, fornendo un modello che venne poi sviluppato scenograficamente nei secoli XVII e XVIII. Solo nel XIX secolo il giardino informale, o parco all’inglese, fornì un nuovo modello paesaggistico, che in alcuni casi comportò la sostituzione dei giardini geometrici e in altri li affiancò semplicemente, venendo destinato ad altre zone. Tra Otto e Novecento il formalismo ebbe un revival con l’attività di paesaggisti come Cecil Pinsent, ma in definitiva si può dire che non sia mai tramontato.