Fiesole è un immenso giardino con vista su Firenze e sulle colline d’intorno, un panorama che si disegna in un susseguirsi di linee ondulate protette dalla cornice dell’Appennino. Come tutti i giardini merita cura e attenzioni continue e minute e, in effetti, gli strumenti urbanistici degli ultimi quarant’anni, nei loro principi informativi e prescrittivi, hanno assunto la protezione di questa specifica particolarità del territorio, che si esplicita e si materializza in ogni frammento di paesaggio. Ogni elemento in un simile contesto diventa prezioso per la sua forma, le sue proporzioni, i suoi colori, la sua storia: pietre, vegetazione e manufatti diventano parti fondative di un tutto, di un insieme unitario e armonioso in cui gli interventi, anche minimi, se non sincronici, possono produrre gravi alterazioni nel paesaggio del Colle Lunato (esiste un nome più evocativo per un luogo?). In simili contesti, soprattutto in relazione alle pressioni edilizie che inevitabilmente vi sì scatenano, non è facile mantenere un equilibrio fra la conservazione dei luoghi e lo sviluppo delle attività. Per questo e per meglio comprendere la “misura” di Pietro Portinai è opportuna una breve puntualizzazione sugli strumenti urbanistici fiesolani. È verso la metà degli anni Settanta, che Fiesole si dota di un piano regolatore che ha come obiettivo prevalente la tutela del suo territorio, ma è nel 1983 che viene adottata la variante per le zone agricole, redatta da Gianfranco Di Pietro e Calogero Narese, e che l’amministrazione comunale assume la consapevolezza della unicità e della delicatezza del suo paesaggio. La variante costituisce, infatti, una sorta di vademecum comportamentale per gli interventi edilizi, per i terreni di pertinenza delle abitazioni isolate (ville, coloniche e case di abitazione) e per l’insieme delle aree agricole e di quelle boschive. Materiali lapidei e vegetali, forme, decori e definizioni formali e sostanziali degli interventi costituiscono la base di questo provvedimento che insieme ad altri piani coevi redatti per l’arco collinare fiorentino va a comporre un abaco articolato di compatibilità dei singoli interventi edilizi e architettonici in relazione alla forma e alle caratteristiche dei luoghi.
Ines Romitti
Fiesole e il suo paesaggio, in cui si legge il trascorrere del tempo e l’affascinante miscela di storia, cultura, arte e natura, sono il risultato di una vicenda plurimillenaria che appartiene alla civiltà del mondo, Ciò che caratterizza in modo eccezionale le colline fiesolane è la simbiosi tra uomo e natura. A Fiesole, tale armonia ha radici remotissime, poiché già il dominio etrusco instaurò un rapporto equilibrato tra l’aristocrazia urbana e le strutture della produzione agricola, rapporto poi mantenuto dai Romani e nei secoli successivi. Dal Quattrocento ad oggi la bellezza del paesaggio, il pregevole patrimonio ricco delle testimonianze archeologiche ed artistiche non è mai venuto meno. L’immagine di Bel paesaggio è quella che rimanda immediatamente agli scenari pittorici di Duccio, Beato Angelico, Benozzo: una campagna dalle forme straordi-nariamente armoniose con le colture promiscue, le viti maritate, le ville sui poggi e le case coloniche sparse nella campagna. Il paesaggio fiesolano è prevalentemente un paesaggio collinare che si estende tra la valle dell’Arno e quella del Mugnone, due valli differenti tra loro, la prima ampia ed ariosa in direzione est ovest e quella dell’affluente, più ristretta ed allungata nel senso delle pieghe del rilievo, in direzione nord-sud.’ L’orientamento è un fattore fondamentale, definisce l’esposizione, determina microclimi diversi che si leggono nella diversa vegetazione, nei toponimi dei luoghi, come ad esempio Il Salceto, Il Castaceto, che nella valle del Mugnone, più fredda e investita dal tramontano, indicano la presenza di latifoglie mesofile,s adatte ad un ambiente montano fresco e umido. Fynes Moryson, il grande viaggiatore inglese, in Italia agli inizi del Seicento per il Grand Tour, così descrive Fiesole, vista dalla città di Firenze: “A settentrione e ad oriente la città è circondata da amene colline coltivate a frutteti che s’estendono tutt’attorno a mo’ d’anfiteatro; alle loro spalle, in lontananza, le alte groppe dell’Appennino fungono da solide mura per la città”. Così i rilievi collinari mostrano forme particolarmente dolci, i percorsi procedono in salita tra pinete e cipresseti, a tratti il bosco si apre su conche d’olivi con al centro una o più case coloniche, ville padronali circondate da parchi e giardini, ma le colture agricole, nonostante la vicinanza della città, riescono a mantenere il carattere d’ambiente “naturale” di questi luoghi. Fino all’inizio di questo secolo non esistevano le folte macchie di resinose che oggi si ammirano, si tratta infatti di rimboschimenti di pini e di cipressi su terrazzi rocciosi in precedenza denudati dall’originario manto di roveri, roverelle e cerri. John Temple-Leader,’ il signorotto inglese che verso la fine dell’Ottocento si stabilì su queste pendici acquistando vasti possedimenti, ebbe un ruolo fondamentale, oltre che nella costruzione del Castello di Vincigliata, anche nella creazione del paesaggio attorno al castello stesso fino a Maiano.
Analoga la copertura vegetale di Monte Ceceri, dove i rimboschimenti sono stati effettuati in maniera massiccia a partire dal 1929, a risanamento della situazione di degrado determinata dall’intenso sfruttamento delle cave d’arenaria di Maiano. Questo colle ha una natura geologica ben diversa da quella dei colli circostanti, legata alla presenza di arenarle appartenenti alla formazione del macigno. A Maiao le cave che servirono per i capolavori fiorentini erano in uso fino al XV secolo, quando si arrivò a contarne fino a 40. Scrive Francesco Rodolico: “il macigno e le sue varietà [pietra serena e pietra bigia] abbondano tra Monte Rinaldi e Monte Ceceri”‘ e riporta tale descrizione di Agostino del Riccio: “È tanta copia di pietre varie appo la città […] che non è meraviglia che i tempii e chiese, torri, palazzi, casamenti, logge fanno stupire tutti i forestieri”. Henri Desplanques descrive così il paesaggio toscano: “La collina assumeva una suap articolare identità […] anche in relazione ad un particolare tipo di paesaggio agrario: quello della coltura promiscua. Il paesaggio rurale ha sempre avuto in Toscana un tocco di signorilità. L’efficienza produttiva era sposata in modo indissolubile al superfluo: a volte pochi alberi, un singolo cipresso o un filare posti presso una casa, lungo un crinale, lungo i confini di un campo, una fila scura di cipressi, piante cui possono attribuirsi molti significati ma, raramente, quelli produttivi, a segnalare una fattoria o una residenza signorile”. Colture e sistemazioni agrarie di vecchio impianto caratterizzano i dolci colli, come afferma Pietro Porcinai, il grande paesaggista che aveva scelto Villa Rondinelli, posta lungo la Via Vecchia Fiesolana, per lavorare: “Il paesaggio toscano è assimilabile a un giardino, ne possiede la logica e l’identità per questo motivo per conservarlo bisogna coltivarlo, ma occorre dare a questa finalità produttiva un connotato più ampio comprendente sia gli aspetti storico-culturali che quelli estetici”. I° Il paesaggio fìesolano, rurale, è rimasto per vari aspetti arcaico e presenta oggi interesse di documento storico e, ancora secondo Porcinai: “Il paesaggio è un palinsesto, una stratificazione di opere di interventi per cui si può leggere la storia di un popolo come se si avesse un libro aperto davanti agli occhi”. Ogni momento della storia si esprime nel paesaggio con le proprie impronte, legate alle esigenze di quel periodo e alla sua cultura. Nel paesaggio fiesolano giocano un ruolo fondamentale i giardini, che disegnano i tratti caratteristici di quello che è considerato uno dei più famosi paesaggi del mondo. La Wharton, nel descrivere le ville fiesolane e i loro giardini, si esprime: “ne è risultato un meraviglioso sviluppo di quegli effetti che si possono permanentemente ottenere dagli altri tre fattori della scenografia di un giardino: pietra, acqua e sempreverdi La loro forma e struttura, i materiali e gli elementi vegeta-li sono strettamente legati e dipendenti dall’ambiente in cui sono inseriti. Un paesaggio di giardini, entro cui recita sempre un ruolo predominante il cipresso, o raggruppato in grandi mac chie ordinate o in filari su terrazzi degradanti, dove sono inoltre presenti le più nobili specie ornamentali: l’alloro, il viburno, la lentaggine, il leccio, il cerro, la roverella. Il sottofondo e costituito dall’olivo che ricorda il ruolo portante svolto dalla campagna nella costruzione di questo paesaggio. L’olivo ha un glorioso passato, coltura promiscua componente strutturale del bel paesaggio. Gli olivi sopravvissuti alle trasformazioni socio economi che, alle gelate del 1985, hanno a fronte un futuro incerto: la scelta è tra l’abbandono e la sperimentazione alla ricerca di nuovi modelli. Il paesaggio scandito dall’olivo assume sempre una valenza estetica di alto valore, frutto di un’elevata ricerca dell’utile, ma forse anche di un innato senso del bello, di un amore per questa pianta dovuto al suo intrinseco valore simbolico. E legittimo credere che tra le immagini pittoriche rinascimentali e i giardini esistesse un costante rimando, mutuato dalle descrizioni letterarie.
Possiamo riferirci ad immagini pittoriche, come le cele-brate raffigurazioni dell’Angelico nel Giudizio universale, in cui la rappresentazione dettagliata della natura evoca una salita fiesolana, oppure di Benozzo Gozzoli che nel Viaggio dei Magi, nella Cappella dei Magi in Palazzo Medici Riccardi rappresenta la Toscana medicea. Boccaccio, nella sesta giornata del Decamerone, descrivendo il paesaggio che circondava la sua bellissima Valle delle donne “montagnette così digradando gaia verso il piano discendevano, come nei teatri veggiamo dalla sommità i gradi infimo all’infimo venire successivamente ordinati, ed erano queste piaggie tutte di vigne, di ulivi, di mandorli, di ciliegi, di fichi e d’altre maniere d’alberi fruttiferi piene”. ” Antichi commentari hanno creduto di identificare in tale descrizione il paesaggio collinare fiesolano, l’eccezionale sistema insediativo che a terrazzi risale Via Vecchia Fiesolana fino a culminare nella villa Medici e nel colle “lunato” tra San Francesco e Sant’Apollinare. Fiesole, favorita dalla privilegiata posizione geografica che consente di godere da vari poggi di uno dei più suggestivi affacci della Toscana, suggerisce a prima vista che questo paesaggio collinare di pregio va conosciuto, capito, amato e difeso e che qualsiasi intervento deve avvenire nel pieno rispetto di tale contesto storico, paesaggistico, ambientale. È importante quindi individuare i caratteri fondamentali di identità del paesaggio, dei giardini e dei parchi per mantenere una continuità stilistica e tipologica fondata su quei valori che la storia, la cultura e la tradizione ci tramandano e che spesso mancano nei nuovi insediamenti e che si vanno rapidamente perdendo nelle realtà più antiche. Pietro Porcinai, da attento paesaggista, affermava per esempio che: “le magnolie, piante da pianura disarmoniche e stridenti con lecci e cipressi sulla strada di Fiesole, in quel contesto si dovevano impiantare lecci o cipressi”.” Sono quindi da prediligere le piante mediterranee sempreverdi: lecci, olivi, cipressi, o spoglianti: querce, aceri, frassini e alberi da frutto della tradizione contadina, giuggioli, nespoli, fioriture poco appariscenti, ma profumate di allori, mirti e corbezzoli, rose e lentaggini. Il tema della identità storica paesaggistica e ambientale, che ha guidato nel mantenimento dei valori e dei caratteri che creano questo luogo unico e che deve essere mantenuta, ci conduce e ci accompagna nel percorso e nelle visite ai giardini.