Attraverso gli studi della botanica A. Ciarallo, sui giardini dell’antica Pompei, sappiamo che il giardino romano, in origine, è prevalentemente uno spazio utilitario, denominato hortus, generalmente racchiuso e adiacente alla casa, dove le piante sono coltivate per il solo uso di cucina e, per estrarne olii e profumi per la cura del corpo. Anche lo studio della Jashemski, archeologa americana, sui giardini pompeiani è stato specifico per ogni giardino, al fine di comprendere il loro ruolo nella città e la determinazione della proprietà a cui era annesso. Tale studio ha richiesto l’esame di ogni edificio, di ogni pezzo di terreno aperto, in altre parole, dell’uso del suolo della città di Pompei.
I giardini pompeiani compaiono nei luoghi più inaspettati; si trovano più spesso all’interno delle mura di una casa o di un edificio pubblico, che attaccati sul retro. Secondo l’archeologa Jashemski era necessario controllare ogni rapporto di scavo e confrontarlo con le prove visibili del sito archeologico di Pompei; i rapporti dei primi scavi dei giardini sono inadeguati o inesistenti, così, in seguito, spesso vengono effettuati esami in loco e i risultati di questo studio forniscono un quadro delle abitudini e degli usi dèi pompeiani e dei loro giardini, come non è ottenibile in nessun’altra città antica. Fin dai tempi più remoti, il giardino ebbe un ruolo fondamentale nella vita romana, poiché l’hortus o orto, costituiva una parte significativa del primitivo heredium o patrimonio di famiglia, era un aspetto essenziale della prima casa italica e influenzò notevolmente lo sviluppo delle domus. Il giardino romano pompeiano è la trasformazione dell’Ellenistico (secondo secolo B. C.) peristilium sannitico, operato dagli italici nella casa ad atrio, così utilizzato e non più in terra battuta o con pavimentazione in ciottoli. E, quindi, sempre secondo gli studi della Ciarallo, è solo con II I secolo A. C., che con i nuovi influssi provenienti dalla Grecia, più raffinati e più lussuosi, viene modificata l’idea del verde utile per dare importanza al giardino, che viene ampliato e costituito da un’area. verde coltivata con piante e fiori, il viridarium. Si tratta di spazi verdi pù grandi, con forme spesso rettangolari, circondati da un portico colonnato, peristilium, sul quale si affacciano gli ambienti di rappresentanza. Spazi verdi, raffinati arredati con statue, fontane, oscilla e, di frequente, “accompagnati da rappresentazioni floreali e vegetali” ad affresco, secondo il gusto e lo status sociale del proprietario.
La Casa del Bracciale d’Oro, nome derivato dal ritrovamento dello splendido gioiello, era la casa di Marco Fabio Rufo, nell’Insula Occidentalis; possedeva splendide terrazze degradanti che si aprivano scenograficamente verso il mare e gli edifici della casa presentano lussuose decorazioni in particolare quelle parietali. La decorazione del giardino dipinto della Casa del Bracciale d’Oro è stata recuperata minuziosamente; ne è riemerso un bellissimo viridarium con diversi tipi di piante, con erme di marmo, muretti elaborati, graticci di vimini ed uccelli di varie specie. Le pareti si aprono così illusoriamente in un giardino colto, attraverso una grande finestra che si apre per tutta la sua lunghezza. La fauna e la flora sono rappresentate con grande perizia; tra gli uccelli si riconoscono: l’alzavola, che si leva in volo, l’usignolo, la cornacchia grigia, la garzetta; tra le piante: gli oleandri, i corbezzoli, il pino domestico, le rose, il viburno, il papavero, l’edera dal verde brillante, la palma. Le piante del giardino dipinto sono realizzate, mediante una serie di sfumature cromatiche, che rendono profondità e volume. Varie tonalità di verde sono utilizzate per dare profondità ai cespugli. La preziosa decorazione risale al secondo venticinquennio del I secolo d. C. ed è considerata tra le più accurate rappresentazioni di III stile.
La Casa del Frutteto presenta un impianto ad atrio con spazio verde nella parte posteriore e conserva il più bell’esempio di pittura da giardino della città anch’essa. Qui la pittura di giardino è impiegata nella zona privata della casa in due piccoli e raffinati cubicula, gli spazi dedicati al riposo. Le raffigurazioni di giardino sono arricchite da motivi egittizzanti, come gli attributi di Iside, che, forse alludono alla devozione del proprietario per il culto isiaco. Il primo dei due cubicula presenta un giardino con piante ornamentali e da frutto, realizzate con estrema precisione, tanto da rendere possibile il riconoscimento delle specie vegetali, come limoni e corbezzoli; il secondo cubicula è caratterizzato da tre alberi di diversa grandezza di cui quello al centro, un fico, rifugio di un serpente, simbolo di prosperità.
Questi giardini rappresentano solo alcune delle nuove aperture al pubblico e i percorsi nel Verde del Parco Archeologico di Pompei. Pagina di riferimento: Arte in-forma Performance d’arte
Sito della pagina: ww.ilgiardinodelleesperidi.altervista.org
Mail: manueladelbalzo@gmail.com
Per gentile concessione dell’Autore: dott.ssa Emanuela del Balzo di Presenzano
Diagnostic for Cultural Heritage Unisalento-tesi Magistrale in giardini di Pompei.
Con l’inserimento di queste novità poco conosciute ai più, spero di aver sollecitato la curiosità e l’interesse di Voi lettori verso il Verde del Parco archeologico di Pompei.
Grazie per l’attenzione
Quando i greci videro i parchi orientali ne rimasero colpiti ed affascinati, poiché la loro cultura, sebbene avanzatissima in tutte le arti, non aveva mai prodotto nulla di eguale. Una delle ragioni per le quali si sostiene che l’Antica Grecia non abbia prodotto sfarzosi giardini è riconducibile alla vita democratica delle polis, che avrebbe mal visto lo sviluppo di giardini privati come dichiarazione di ricchezza e benessere. Peraltro la cultura cretese-micenea fu amante dei fiori, difatti dai reperti possiamo dedurre una centralità del motivo floreale decorativo, come già era stato per quella egizia. Per i greci occuparsi del giardino era un’attività prevalentemente femminile o alla quale ci si poteva dedicare durante le pause tra una guerra e l’altra. Le influenze persiane si propagarono all’antica Grecia: attorno al 350 a.C. c’erano giardini presso l’Accademia di Atene e Teofrasto, considerato il padre della botanica, si suppone avesse ereditato il giardino di Aristotele.