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…ero di mattina presto nel giardino di Fiesole
davanti a un muretto di mattoni e stavo osservando
questo stupendo momento in cui nasceva
il primo sole, era l’inizio della primavera…

G. Michelucci, Su Fiesole, 1985

 

Il paesaggio fiesolano, così armonioso, ricco di segni e tracce, riferibili alla storia, alla cultura agraria, all’uso antropico, viene qualificato dal grande paesaggista Pietro Porcinai: «Un palinsesto, una stratificazione di opere e di interventi in cui si leggono le testimonianze lasciate dalle popolazioni in ogni epoca storica come in un libro aperto davanti ai nostri occhi». Il dolce skyline del «colle lunato», che appare in una delle prime rappresentazioni di Firenze, la famosa Veduta della Catena del 1472 c. dove a settentrione fa da fondale alla città, per me, provenendo dalla bassa padana negli anni settanta, ha determinato un amore a prima vista.

Aveva del miracoloso salire a Fiesole, percorrere i sentieri e le vie di San Francesco, Sant’Apollinare e Monte Ceceri, ammirare Firenze e verificare che valevano ancora i dettami teorizzati da Leon Battista Alberti nel ‘400: «di situare l’abitazione dei signori in un punto della campagna con tutti i vantaggi e le piacevolezze riguardo la ventilazione, l’esposizione al sole, il panorama; godrà della vista di una città, o di una vasta pianura; permetterà di volgere lo sguardo sulle cime di colli e su splendidi giardini.» E ancora oggi giocano un ruolo fondamentale splendidi giardini, tutti da scoprire, nei quali si trova profuso nella struttura e negli arredi quel materiale prezioso: «la tipica arenaria macigno: pietra serena e pietra bigia che si cavava sul Monte Cecero la pietra color del cielo di cui rimangono tracce nei giardini»; quel monte, anticamente luogo di lapicidi e di cave, poi rimboschite con cipressi e resinose negli anni Trenta del secolo scorso.

Iniziamo questo viaggio spazio temporale dalla via Vecchia Fiesolana, l’antica strada di collegamento con Firenze, su cui si trovava l’accesso alla villa Medici o Belcanto commissionata a Michelozzo da Cosimo il Vecchio per il secondogenito Giovanni dal 1451. Il cubo perentorio con le logge aperte sul panorama e sui giardini, è il cardine attorno al quale si organizzano gli alti muraglioni, gli ampi terrazzamenti mutuati dalle sistemazioni agricole e i boschi con le ragnaie, nella parte a monte, dove oggi si apre il viale d’accesso dalla via Beato Angelico, la strada Leopoldina aperta nel 1840.

Per Cosimo fu un’operazione di controllo del territorio: dal giardino a sud una linea retta traguarda il Palazzo di via Larga ad un grado della cupola brunelleschiana, poi a occidente si congiunge con la Badia fiesolana e, dietro Montughi, con la coeva villa di Careggi altra sua committenza. La villa fu legata a Lorenzo e divenne il luogo per eccellenza del piacere contemplativo, dove vi scrisse: «Cerchi chi vuol le pompe, e gli altri onori Le piazze, e i templi; e gli edifici magni […] Un verde praticel pien di bei fiori, Un rivolo, che l’erba intorno bagni, Un augelletto, che d’amor si lagni, acqueta molto meglio I nostri ardori», assieme all’amico Angelo Poliziano che la decanta nella celebre Ballata delle rose: «I’ mi trovai, fanciulle un bel mattino Di mezzo maggio in un verde giardino. Eran d’intorno violette e gigli…». Nel primo giardino dietro la villa, lungo la via Vecchia fiesolana, contro l’alto muro esposto a sud–est, sono rappresentati degli aranci amari, a testimoniare che in questo luogo, data l’esposizione favorevole, sono iniziate le famose «collezioni» medicee di agrumi. Più a monte si trova, strettamente connesso alla villa, il Convento dei frati di San Girolamo, così ben rappresentato da Domenico Ghirlandaio, nella Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, e da Biagio d ́Antonio, nell’Annunciazione, a Roma, all’Accademia Nazionale di San Luca, a metà del ‘400. L’aspetto attuale è conseguenza di due rifacimenti anglofili: il primo nel 1773 di lady Oxford vedova Walpole, il secondo dal 1911 voluto da Lady Sybil Cutting che si affidò a Cecil Pinsent e a Geoffrey Scott.

I due inglesi, definiti i Boys e introdotti da Mary e Bernard Berenson nella comunità anglo-americana, lavorarono prima a villa I Tatti e poi realizzarono, in uno spazio stretto e scosceso contiguo a villa Medici, villa le Balze per il filosofo Charles Strong, tra il 1915 e il 1919, ponendola al centro, quale mediazione tra i giardini formali e il bosco selvatico. Poi in seguito per molti anni si dedicarono al giardino a La Foce con la figlia di lady Sybil, Iris Origo, che amava ripetere «sono stata spolverata dall’oro delle fate» raccontando la stagione dell’adolescenza a Fiesole con mummy: le pigre estati, i tè in casa Acton, le feste in costume rinascimentale, i garden party, le visite a villa La Gamberaia e le cacce al tesoro organizzate da Mary Berenson.

Le raffigurazioni e le descrizioni letterarie sono state fondamentali alla fine dell’Ottocento ed ai primi del Novecento, per la reinvenzione di giardini e di interi brani di paesaggio, quel paesaggio-giardino sulle colline attorno alla città per opera della comunità anglo-americana. Questa attrazione determinò un forte interesse, anche nel famoso paesaggista inglese Geoffrey Jellicoe che nel 1925 soggiornò a Firenze da lui definita la «Mecca dei giardini».

Sempre a fianco della via Vecchia Fiesolana, si trova l’antica villa Rondinelli, affittata nel 1954 da Pietro Porcinai dalla Principessa Isabella Boncompagni Ludovisi Marchesa Rondinelli Vitelli, dove trasferì, dal lungarno Corsini, «il suo incantevole studio» come lo descrive Lensi Orlandi. Nel 1965 il bel complesso manierista diventa di sua proprietà e vi interviene con un progetto in cui esprime tutta la sua capacità nel recupero dei caratteri del luogo prestigioso, definito un «immenso giardino», del quale assimilare «tutti gli elementi ambiente, piante, acqua riuniti in una superiore e diversa realtà di vita». Lo studio di architettura del paesaggio è stato nel tempo un grande laboratorio, il luogo in cui elaborare proposte per innalzare la qualità della vita, migliorare l’ambiente e disegnare il paesaggio. Nel 1972 propone a Fiamma Vigo la mostra di «Scultura contemporanea a Fiesole»: «avrà per quadro il giardino di Villa Rondinelli […] perché la scultura [ ] deve integrarsi nella natura, bisogna vederla all’aperto perché le masse prendano vita. [ ] non si sarebbe potuto trovare scenario più indicato, sulla città del Giglio e sul dolce paesaggio toscano i cui cipressi fanno pensare alle cattedrali gotiche.» Sotto la piazza di Fiesole, si colloca villa il Roseto, abbarbicata sul colle di Sant’Apollinare, una sorta di balcone proteso con il suo giardino sul panorama a 180° aperto su Firenze e la valle dell’Arno. Se guardiamo ad un disegno di Giovanni Michelucci del periodo della guerra (1944 Luglio) troviamo i tipici terrazzamenti toscani così commentati: «Il giardino deve essere “spettacolo”, deve essere a vari piani, a “gradoni” o naturalmente naturali o artificialmente costruiti». Questa sua idea di giardino la concretizza nel 1958 quando con la moglie Eloisa Pacini andrà ad abitare nella casa con giardino a gradoni di cui ama la struttura e la vegetazione tipica del paesaggio delle colline toscane con olivi, cipressi e macchia mediterranea, fiorito di ortensie e rose.

Villa San Michele, in posizione panoramica la bella costruzione con un arioso loggiato e una facciata armoniosa, attribuita a Santi di Tito della scuola michelangiolesca, era inizialmente un convento di frati francescani soppresso nel 1808 da Napoleone. Dedicata a San Michele Arcangelo – si trova infatti idealmente sulla linea Sacra di San Michele che congiunge i punti delle Sacre dall’Irlanda fino a Gerusalemme, passando per Inghilterra, Francia, Italia e Grecia – e Doccia per la presenza della sorgente dell’Affrico che sgorga nella roccia sottostante al complesso, poi discende fino al Salviatino fino ad arrivare all’Arno, dove nel 1956 Piero Bargellini pose una colonna con l’iscrizione: «Il torrente Affrico cantato da Giovanni Boccaccio dalla sorgiva Fiesole qui si getta nell’Arno». Nel 1952 fu trasformata in albergo dal ricco proprietario francese Tessier che negli anni Ottanta incarica Porcinai di intervenire sui giardini e creare una piscina. Come sua prassi, il Maestro ingloba i caratteri del paesaggio e l’alto valore storico del sito lo stimola alla ricerca dei significati ancestrali: l’hortus conclusus dei monaci e il valore del bosco «situato nella giusta posizione, piantato alla quota più alta del convento» e «come ogni salvatico, mantiene l’aria fresca che essendo più pesante di quella esposta al sole torrido estivo, discende verso il convento e ne mitiga il clima», raccomandando la conservazione di questo «monumento della natura». L’opera è stata realizzata in parte da Porcinai e fu terminata dall’architetto fiesolano Niccolò Berardi. Affacciandosi nella zona di Montececeri dove i terrazzamenti mostrano enclaves di oliveti tra aree boscate, Porcinai dal 1967 interviene con l’architetto Piero Grassi per l’inserimento in una villa in un podere di circa cinque ettari tipico della mezzadria. Il progetto è innovativo: solai aggettanti, logge, giardini pensili, percorsi in pietra, prati e bordure fiorite, la piscina scavata sul fronte di cava, con un’attenzione particolare verso la vista da «via del Monte dei Ceceri» in rapporto alla recinzione. La villa fu realizzata dopo il 1982 quando Porcinai si interessa per il proprietario della vendita del terreno. Poco distante Frank L. Wright visse «nell’antica Fiesole, più in alto della romantica città delle città, Firenze, in una piccola villa color crema di via Verdi», il Villino Belvedere del soggiorno fiesolano nel 1910 che così ricorda: «Passeggiavamo assieme, la mano nella mano, lungo la strada che sale da Firenze all’antica cittadina, […] passeggiavamo nel parco cintato da alte mura, intorno alla villa, nel sole fiorentino, o nel giardinetto accanto alla fontana…» dove forse nel rapporto col paesaggio trovò ispirazione per le opere successive.

Nell’ambito di San Domenico, nella valletta a mezza costa, il sottofondo è costituito dall’olivo, coltura dal glorioso passato «sopravvissuta» alle trasformazioni socio-economiche e alle gelate del ’85, che ricorda il ruolo portante svolto dalla campagna e ora appartiene ad un’agricoltura residuale definita «fossile» poiché priva di evoluzione. Dirigendosi verso la valle del Mugnone, lungo via Boccaccio si incontra Villa Schifanoia, dove si sarebbe riunita al tempo della peste di Firenze la compagnia dei giovani descritta nella Novella X del Decameron: «erano queste piagge tutte di vigne, di ulivi, di mandorli, di ciliegi, di fichi, e d’altre maniere di alberi fruttiferi piene». Oggi sede dell’Università Europea, il giardino è frutto di un intervento degli anni 30, sull’onda della fascinazione dei nuovi giardini in cui si crea un mix tra tradizione toscana e giardinaggio anglosassone.

Sempre nella valle del Mugnone, a villa Palaiola in via delle Palazzine, nel 1941 Porcinai inizia a occuparsi del giardino a terrazza che per Lenzi Orlandi negli anni ‘50 «è senza dubbio tra i più pettinati e fioriti giardini di Firenze: rose, tulipani, pratoline e viole […] incorniciate dalle simmetriche pendenze di Schifanoia e della Pietra che delimitano la val del Mugnone». Nel pieno della guerra Porcinai scrive al committente: «mi manca il tempo di ultimare il disegno delle fioriture, le trascrivo l’elenco perché possa subito acquistare i semi». Sull’angolo a nord crea un bosco frangivento poiché: «Gli alberi sempreverdi riparano abitati e coltivazioni dalle correnti fredde; […] rendono sensibilmente meno freddi gli abitati situati a mezzogiorno di essa», invece «non si pianteranno mai cedri, pini, magnolie a sud: toglierebbero il piacere del sole durante la stagione fredda». Ritornando a San Domenico dove, in un’ariosa tessitura agricola di vigneti e oliveti al confine con gli orti del Convento di San Domenico, si colloca villa Sparta, il bel complesso con un’ex cappella, il parco romantico e i giardini disegnati da Cecil Pinsent nel 1935 per la principessa Elena di Romania. Porcinai nel 1939 vi aggiunge la ‘stanza’ con la piscina che rappresenta la sua risposta alle leggi di tutela, le leggi Bottai sulle cose di interesse artistico-storico e sulla protezione delle bellezze naturali.

Proseguendo su via delle Fontanelle si giunge a villa La Torraccia che per il ruolo culturale della Scuola di Musica, merita un’attenzione particolare, vi si potrebbe praticare «la trasversalità dei linguaggi dell’arte: musica, scultura, arte dei giardini» come Piero Farulli propose con l’Estate Fiesolana. Landor sulla villa appena acquistata nel 1830 scrisse: «Ho due giardini: uno con una fontana con un bel jet-d’eau. Ci sono 165 grandi limoni e 20 aranci, con due serre per tenerli in inverno. […] Io ho piantato 200 cipressi, 600 viti, 400 rose, 200 corbezzoli e 70 allori, e viburni, 60 alberi da frutto della migliore qualità proveniente dalla Francia». Le grandi trasformazioni architettoniche della villa si devono successivamente a Daniel Willard Fiske che l’acquistò nel 1892.  Marc Twain, che vi soggiornò, scrisse: «il signor Fiske è andato via – nessuno sa dove – e i lavori alla sua casa sono stati interrotti». Fu poi acquistata dalla ricca vedova americana Richardson e negli anni ‘60 dall’Istituto degli Innocenti. È di quest’ultimo periodo l’intervento di Edoardo Detti, un esempio di architettura organica che mira alla massima armonia fra natura e ambiente progettato dall’uomo. Fu interessante la mostra nel chiostro della Badia fiesolana sul periodo in cui Michelucci, Detti, Savioli, Ricci, Fagnoni e Theodore Waddell indagarono e sperimentarono tali tematiche, costruendo ville in cemento armato e vetro, in combinazione con la pietra a faccia vista, memoria della grande tradizione delle case coloniche toscane.

Nell’ambito della zona delle cave di Maiano, villa il Palagio domina il paesaggio e si staglia contro il folto selvatico di querce, lecci e cipressi che venne a ricoprire le brulle pendici del Montececeri. Fu acquistata negli anni ‘40 da Salvatore Ferragamo che la scelse guardando con un binocolo da Piazzale Michelangelo. Poi per il giardino chiamò Porcinai che realizzò in una superficie stretta un campo da tennis e il giardino che «è assai più della somma di molte belle piante» poiché secondo la sua concezione «i più bei cipressi, le più belle rose, i pini più belli, riuniti in un appezzamento di terreno, ma distribuiti senza un’idea estetica che li componga in felice armonia, non riescono a formare il giardino». Verso oriente sotto le pendici del monte, si distende l’arioso complesso della villa Corsini a Maiano con dall’antica villa quattrocentesca, a chiesa, case coloniche, oliveti e grandi boschi di resinose. L’aspetto attuale si deve a John Temple Leader nella seconda metà dell’800 che acquistò tutti i terreni fino verso il castello di Vincigliata, costruì la torre e operò una sapiente sistemazione paesaggistica.

A sud, sulla via del Salviatino si incontrano alcuni tornanti, dovuti ad un progetto del 1870 dell’ing. Maiorfi, allora redattore del Piano regolatore del Comune fiesolano. Tale opera produsse un allargamento significativo per il parco della sottostante villa Il Salviatino una delle più note e rappresentative sia in tempi passati, perché dei Salviati, come è scritto sulla lapide all’ingresso: «Fiesole viva, e seco viva il nome del buon Salviati ed il Suo bel Maiano» e sia dal 1911quando è stata l’abitazione lussuosa di Ugo Ojetti, artefice dell’esposizione importante sul Giardino storico nel 1931. Dopo anni di abbandono dal 2006 la villa è stata recuperata con un articolato progetto di restauro del parco, del bel giardino formale e dell’area agricola.

Tra via Benedetto da Maiano e via delle Lucciole è situata villa il Martello, con il podere dove Porcinai dal 1972 opera, con scelte ricercate ispirate alle forme ondulate del paesaggio, un intervento modello: «assimilabile a un giardino, ne possiede la logica e l’identità, per conservarlo bisogna coltivarlo e a questa finalità produttiva occorre dare un connotato più ampio che comprenda sia gli aspetti storico-culturali che estetici». Crea «una casa senza giardino perché tutta la proprietà è un giardino e la maggiore preoccupazione è stata quella di “non fare”». E come precursore del Km zero suggerisce: «uova e polli, conigli, api per il miele, pecore e qualche capra per fabbricare ogni giorno il “raviggiolo” che è stato ormai sostituito con il moderno yogurt». Sul lato a bacio del «colle fiesolano», si snoda l’itinerario verso nord, e dalla biforcazione a Baccano percorrendo via di Vincigliata, già via Temple Leader, si raggiunge villa il Bosco di Fontelucente. Denominata anche villa Peyron dal proprietario che l’acquistò alla fine dell’Ottocento. I giardini formali e la struttura ben si adattano alla descrizione di Edith Wharton: «la prospettiva, l’architettura, l’arredo, gli alberi usati come elemento costruttivo, l’andamento del terreno come impianto teatrale, le acque come la più docile e multiforme possibilità scenica.». L’innamoramento del luogo, ha prodotto il racconto di Paolo Peyron della realizzazione del suo sogno estetico, dell’occupazione della seconda guerra mondiale, della fine della mezzadria nel 1850 e le trasformazioni delle colture.

Proseguendo per via di Vincigliata emerge il Castello di Vincigliata, dove John Temple Leader con l’apporto dell’architetto Giuseppe Fancelli, nella seconda metà dell’Ottocento, diede un forte impulso di trasformazione con il restauro del Castello neo-medievale e alle caratteristiche paesaggistiche con i rimboschimenti a cipressi che ridisegnarono, in maniera solo apparentemente spontanea, brani di campagna caratterizzata «da una perfetta armonia di forme e cromatismi», conservando l’aria magica dell’antico significato simbolico. Il cipresso infatti ha assunto nel tempo quel ruolo inconfondibile nelle colline combinato agli oliveti e ai lecci, creando quei forti contrasti drammatici che hanno affascinato gli inglesi. Nel 1969 Roberto Ridolfi scrisse «Una Toscana senza olivi sarebbe una Toscana spopolata; senza ci- pressi non sarebbe più Toscana»36 dando uno dei primi gridi di allarme sulla morte del cipresso, un terribile momento in cui si è temuto che il Seiridium cardinale li decimasse. Proseguendo verso Settignano, prima di Ponte a Mensola si incontra villa i Tatti la cui trasformazione del giardino fu uno dei primi importanti interventi di Cecil Pinsent e Geoffrey Scott per Berenson che l’acquistò nel 1907. Un giardino terrazzato «che gli venne molto caro» e per cui scrisse: «A meno che non piova a dirotto, lo attraverso almeno una volta al giorno, per assaporare l’aria, per ascoltare il rumore degli uccelli e dei ruscelli, per ammirare i fiori degli alberi»37. Iris Origo lo ricorda invariabilmente vestito di grigio chiaro con i sui ospiti, tra cui Edith Wharton. Proprietà della Harward University e sede della Fondazione Berenson, alcuni anni fa il giardino è stato oggetto di ampliamenti e dell’inserimento di una foresteria.

La vasta superficie del comune di Fiesole si estende anche nella valle dell’Arno, sulle pendici verso Compiobbi, dove si staglia villa Le Falle, attribuita a Gherardo Silvani attorno alla quale è stato un susseguirsi di segni e trasformazioni del territorio, come si legge nell’incisione di Giuseppe Zocchi per le sistemazioni a «ritocchino», agli interventi attribuiti a Luigi de Cambray Digny. Nella foto aerea si può vedere come le tracce più forti permangono, mentre nella parte bassa il rapporto con l’Arno è stato interrotto dalla ferrovia Firenze Arezzo e da insediamenti residenziali recenti. Questo viaggio nello spazio e nel tempo, sorvolante le antiche testimonianze riferite all’aspetto delle campagne, alle presenze puntuali delle ville, alla qualità ambientale e all’immagine paesaggistica, va auspicato sia da incentivo a conservare e migliorare l’ambiente e il paesaggio pur tenendo conto che il paesaggio si trasforma inevitabilmente. Deve anche indirizzare alla riqualificazione e valorizzazione del patrimonio culturale, assumendo i concetti espressi dalla Convenzione Europea del Paesaggio, per cui dalle strutture formali ereditate dal passato si possa avviare un processo innovativo in cui i valori storici non costituiscano un freno ma siano da stimolo verso soluzioni coerenti per un nuovo ruolo della campagna nella città. Dal 1995, mutuando la consuetudine dall’Inghilterra dove la frequentazione di giardini e di ville è pratica diffusa e costante, prese piede presso il Comune di Fiesole il programma delle Visite ai giardini fiesolani, lezioni en plein air di soci esperti Aiapp, finalizzate alla conoscenza dei giardini e del paesaggio. Da allora si è aperto un mondo segreto di bellezza, valori ambientali e paesaggistici, di giardini intesi come opere d’arte che non vanno solo raccontati, ma vissuti, osservati, respirati, interiorizzati…

Ines Romitti