Proseguendo oltre Castel di Poggio, lungo Via di Vincigliata in una zona molto boscosa si trova il castello di Vincigliata, che negli ultimi anni dell’Ottocento parve a tutti, fiorentini e non, la perfetta realizzazione del sogno
romantico di un epoca. In tempi molto remoti, già nel 10,31, su questi dirupi a monte delle case di Maiano e di Coverciano, possedettero casa e torre i potenti Visdomini, “padroni e difensori del Vescovado – scrisse il Villani – gli quali hanno per regalia che quando vaca vescovo in Firenze, fino alla lezione dell’altro, sono iconomi”, e Cacciaguida così li accusò: “sempre che la vostra chiesa vaca si fanno grassi stando a concistoro”. In seguito la proprietà appartenne agli Usimbardi, poi dei Ceffini da Figline, dei Bonaccorsi ed infine degli Albizzi. Quando un ramo degli Albizzi, per ragioni d’opportunità politica, cambiò nome in quello degli Alessandri, a questi toccò il castello con vari poderi, che allora si chiamava la Torre. Gli Alessandri lo possedettero per vari secoli senza dargli molta importanza, così che il castello si ridusse ad un cumulo di rovine, ogni primavera più pittoresche fra i massi e i borri della verdeggiante collina. Quei ruderi interessarono ben presto pittori e scrittori che di tanto in tanto s’inerpicavano lassù per ritrarre i muri pericolanti, quali ci appaiono in uno schizzo del Burci del 1836 e nella vecchia fotografia dell’Alinari. Questo fino al mo-mento in cui John Temple-Leader, il ricchissimo inglese che in quegli anni abitava a Firenze in Piazza Pini, s’innamorò di quelle rovine e le acquistò nel 1827. La ricostruzione di Vincigliata è l’esempio caratteristico di reintegrazione in stile di castello medievale compiuta da Giuseppe Fancelli, architetto di San Martino a Mensola (Fiesole, 1829-1867), che eseguì anche i lavori nella villa di Maiano del gentiluomo inglese. L’opera fu realizzata — manco a dirlo — con una spesa ingentissima, negli anni dal 1855 al 1865, e i pochi ruderi rimasero sepolti nella nuova costruzione, dove manierismo e retorica fantasia teatrale s’unirono per realizzare la grandiosa costruzione. Il complesso, racchiuso da una muraglia di forma trapezoidale, con un perimetro di quasi quattrocento metri, comprende un mastio, una torre di guardia, cortile, loggia, chiostro, nei caratteri della fortificazione medievale. Il palazzo vero e proprio, costruito sui resti della rocca, ingloba molti ruderi e ne ripete la forma originaria. Gli interni furono decorati dal pittore restauratore Gaetano Bianchi, con soggetti tratti da leggende cristiane ad imitazione dell’arte medievale e da un ciclo d’affreschi da lui staccati da una cappella in via della Scala a Firenze. Alle decorazioni del castello lavorarono inoltre gli scultori locali Giustini e Marucelli di Fiesole. Il vero merito di Temple-Leader non fu quello d’avere reinventato il castello, ma quello d’aver imboschito le colline, dopo aver chiuso le numerose cave di pietraforte, e d’averle riunite in un’unica proprietà impedendo, le speculazioni ai danni del paesaggio. Il gentiluomo creò intorno a sé il fascino del signore feudale, coniando medaglie con la scritta Johannes Tempie Leader Vincigliatae Dominus, ed accogliendo nel suo castello le teste coronate che in quegli anni visitarono Firenze, allineando sulle mura merlate le lapidi a ricordo degli ospiti: un vero e proprio almanacco del Gotha di pietra serena. Molte pubblicazioni descrivono minutamente il castello nelle sue varie parti, la sua storia, gli oggetti veri o falsi che lo decoravano, ma un’idea precisa di quello che rappresentò per il bel mondo fin de siècle, ci viene da una sbiadita fotografia dal libro di Leader Scott, The Castle of Vincigliata, stampato dal Barbèra nel -1897. La fotografia, scattata dal marchese Filippo Torrigiani il 18 aprile 1888, ritrae quel mondo scomparso che tanto ammirò l’opera di John Temple-Leader e di sua moglie Luisa Raimondi. Alla morte del Leader il castello con i suoi molti annessi passò all’erede Lord Westbury.
Ines Romitti.
Gli scavi nell’area archeologica di Fiesole comprendono un teatro romano, le terme, un tempio etrusco-romano e un museo archeologico. Si trovano tra via Duprè, via delle Mura Etrusche e via Marini. Contiene reperti dal III secolo a.C. al II secolo d.C.. Nel 1809, il barone prussiano Friedman Schellersheim fu il primo a far eseguire degli scavi in un podere, detto Buche delle Fate, dove trovò ruderi di epoca romana. Egli fece ricerche fino al 1814, poi i lavori furono sospesi e ripresi successivamente nel 1870.
Il Comune nel 1873 acquistò il terreno dove gli scavi continuavano e nel 1878 venne istituito nel palazzo Pretorio un primo museo col materiale venuto alla luce. Il direttore degli scavi nominato dal comune fu il professor Demostene Macciò, che sostenne l’incarico fino al 1910. Nella spianata degli scavi si trovava l’antico foro di Faesulae, nella convalle tra i colli di San Francesco e di Sant’Apollinare.