Villa Rondinelli è sulla via vecchia Fiesolana, in quel primo tratto ripido e fiancheggiato da alti muri che non consentono viste sul paesaggio circostante. Ma è sufficiente varcare il cancello e tutto cambia: la visuale spazia improvvisamente sulla collina di fronte, al di là del Mugnone che scorre in basso. Il pendio a olivi e macchie di cipressi con la villa La Pietra è tagliato diritto, secondo la massima pendenza, da via Salviati che sale su, fino alla via Bolognese con il profilo coronato di cipressi che si iscuriscono nel controluce del sole del tramonto. Dalla parte più alta del giardino, verso sud, si domina un paesaggio di ville circondate di olivi, punteggiato di cipressi, e in basso c’è Firenze, racchiusa dalle colline sullo sfondo. Panorami di una bellezza incantevole, che, osservati attentamente, sono un manuale al vero di architettura del paesaggio: c’è la città inserita nel territorio, i dintorni con le ville e le aziende agricole, i giardini, le colline boscose. Non poteva essere sede migliore per uno studio di architettura del paesaggio: nel 1957 Porcinai vi si trasferì da lungarno Corsini. A una distanza più ravvicinata, tutto l’ambiente della villa, nel complesso piuttosto severo, era un’esperienza di paesaggismo sapiente fatto di dettagli, di successive visuali, di momentanee fioriture, di giochi d’ombre, di improvvise aperture. Superato il cancello che a primavera è ricoperto da un enorme glicine profumatissimo, il viale di ingresso, tra ciuffi di Rosa chinensis mutabilis da una parte e siepi di Mohonia aquifolium dall’altra, porta diritto a uno slargo e al portone della villa da cui si entra in un grande salone dove era la segreteria dello studio. Invece di entrare, quasi in fondo al viale, a sinistra, si poteva salire una scala, ombreggiata d’estate da un oleandro a fiori rosso cupo, e raggiungere i piani alti del giardino, con la serra dominata da grandi querce. Arrivati sotto la loggia con due colonne in pietra, si poteva proseguire in piano, su un prato costellato di fioriere rotonde da cui spuntavano i fior di loto, davanti ad altri ambienti a parete vetrata continua, con il tetto in erba, che venivano anch’essi chiamati “le serre”.
Ines Romitti