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ARCHIVIO PIETRO PORCINAI | FIESOLE VILLA RONDINELLI © ALESSIO GUARINO

I GIARDINI FIESOLANI

VILLA RONDINELLI | ARCHIVIO PIETRO PORCINAI

Villa Rondinelli è sulla via vecchia Fiesolana, in quel primo tratto ripido e fiancheggiato da alti muri che non consentono viste sul paesaggio circostante. Ma è sufficiente varcare il cancello e tutto cambia: la visuale spazia improvvisamente sulla collina di fronte, al di là del Mugnone che scorre in basso. Il pendio a olivi e macchie di cipressi con la villa La Pietra è tagliato diritto, secondo la massima pendenza, da via Salviati che sale su, fino alla via Bolognese con il profilo coronato di cipressi che si iscuriscono nel controluce del sole del tramonto. Dalla parte più alta del giardino, verso sud, si domina un paesaggio di ville circondate di olivi, punteggiato di cipressi, e in basso c’è Firenze, racchiusa dalle colline sullo sfondo. Panorami di una bellezza incantevole, che, osservati attentamente, sono un manuale al vero di architettura del paesaggio: c’è la città inserita nel territorio, i dintorni con le ville e le aziende agricole, i giardini, le colline boscose. Non poteva essere sede migliore per uno studio di architettura del paesaggio: nel 1957 Porcinai vi si trasferì da lungarno Corsini. A una distanza più ravvicinata, tutto l’ambiente della villa, nel complesso piuttosto severo, era un’esperienza di paesaggismo sapiente fatto di dettagli, di successive visuali, di momentanee fioriture, di giochi d’ombre, di improvvise aperture. Superato il cancello che a primavera è ricoperto da un enorme glicine profumatissimo, il viale di ingresso, tra ciuffi di Rosa chinensis mutabilis da una parte e siepi di Mohonia aquifolium dall’altra, porta diritto a uno slargo e al portone della villa da cui si entra in un grande salone dove era la segreteria dello studio. Invece di entrare, quasi in fondo al viale, a sinistra, si poteva salire una scala, ombreggiata d’estate da un oleandro a fiori rosso cupo, e raggiungere i piani alti del giardino, con la serra dominata da grandi querce. Arrivati sotto la loggia con due colonne in pietra, si poteva proseguire in piano, su un prato costellato di fioriere rotonde da cui spuntavano i fior di loto, davanti ad altri ambienti a parete vetrata continua, con il tetto in erba, che venivano anch’essi chiamati “le serre”.

Ines Romitti

I GRANDI PAESAGGISTI DEL 900

PIETRO PORCINAI

Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini.

La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale.