“Sulla pendice del poggio Fiesolano che scende verso la vallicella dell’Affrico, sorge questo antico e grandioso edificio monastico, circondato da un folto bosco che contribuisce a dare alla località un carattere solenne di tranquilla solitudine” così nel 1906 Guido Carocci tratteggia il complesso di San Michele a Doccia. Nel nome che accosta San Michele Arcangelo, cui era dedicata la chiesa dei frati francescani, al toponimo Doccia, la sorgente che sgorga dalla roccia, si sintetizza il sito ricco di storia, di valori ambientali e paesaggistici. La facciata della chiesa attribuita a Santi di Tito, risale al Seicento, quando la proprietà era della famiglia Davanzati. Trasformazioni significative avvengono dal 1808, con la soppressione napoleonica del convento, quando l’edificio diventa una villa privata di proprietà dei Cuccoli Fiaschi che realizzano il giardino antistante e ridisegnano la strada d’accesso. Nel 1900 fu acquistata dal facoltoso americano Henry White Cannon, innamorato del territorio fiesolano. Nel 1952, per i danni causati dalla seconda guerra mondiale, la villa fu trasformata in albergo dal ricco francese Monsieur Teissier. Nel 1983 incaricò Pietro Porcinai di intervenire sulle aree a giardino: la prima davanti alla facciata per accogliere il visitatore al termine della strada di cipressi, la seconda, oltre il loggiato affacciato su Firenze, sui terrazzamenti degli orti dei monaci, poi il recupero ambientale del bosco e soprattutto la progettazione di una piscina a corredo del sito prestigioso.
Ines Romitti
Un’importante capacità di Pietro Porcinai era quella di individuare i reali problemi e comprendere le procedure idonee, precorrendo sempre i tempi grazie ad una pre-veggenza fondata su basi tecniche sperimentate. Oltre al suo precoce ed innato talento naturale e alla sua intelligenza professionale, Porcinai aveva inoltre maturato una specifica formazione all’estero, in notevole anticipo rispetto ad altri, senza dubbio rimanendo influenzato dalla cultura paesaggistica di quei paesi, in particolare Germania e Belgio, dove aveva fatto pratica di tecniche colturali presso alcuni vivai specializzati. In Italia il percorso della sua formazione si intrecciò con un periodo cruciale dell’arte dei giardini: infatti, proprio nel 1924 Luigi Dami pubblicò II giardino italiano, dimostrando il primato italiano nell’arte dei giardini.
La natura autoctona e caratteristica del giardino italiano, nel riappropriarsi del suo primato in un campo diventato oggetto di studi di stranieri, soprattutto anglosassoni, culminò nella famosa Mostra del Giardino Italiano del 19311 a Firenze, dove si tese alla valorizzazione di un grande passato, senza tuttavia tentare di aprire la strada alla ricerca di nuove forme moderne nell’arte dei giardini. Presidente della Commissione esecutiva’ della mostra fu Ugo Ojetti, sostenitore di un’architettura monumentale e in stile. Nell’ambito della manifestazione furono riproposti dieci modelli ideali di giardini, in una sorta di percorso storico dell’arte dei giardini italiani, concepiti come piccole creazioni scenografiche in cui era presente anche il giardino paesaggistico all’inglese, anche se giudicato estraneo alla tradizione classica nazionale.