A Granaiolo, nel dolce paesaggio dell’empolese, si trova un esempio molto originale di giardino che inserendosi in un contesto storico ne scardina completamente i canoni e il linguaggio tradizionali. L’intervento particolarissimo fu concepito nel 1970 dall’architetto Gae Aulenti, che ridisegnò il giardino attorno alla villa del XIV secolo in una sorta di scommessa con se stessa, realizzando un’opera anomala rispetto al suo abituale ambito progettuale:
“Ho disegnato il giardino di Granaiolo nel ’70 e ogni volta che lo visito e ne rivedo una fotografia mi meraviglio che esso esista […]. Come si poteva immaginare la metamorfosi di un forte disegno geometrico anche duro e razionale ad un’armonia naturale? Anche per me, che pur ne intuivo la possibilità era difficile crederci tanto che tranquillamente oggi posso dichiararne il rischio e in maniera definitiva decidere che non disegnerò più un giardino. È difficile disegnare un giardino”.
Il tema del giardino come legame tra abitazione e paesaggio venne quindi svolto in termini attualissimi e originali, pur legandosi alla concezione spaziale dei giardini rinascimentali in una metafora e una idealizzazione del parterre all’italiana. Tutta la superficie attorno alla villa fu ridisegnata secondo un’organizzazione spaziale di piani che con essenzialità e linearità congiunsero la casa toscana con il parco settecentesco che la circonda. L’artista si pose in un rapporto dialettico nei confronti dello spazio:
“Il giardino attorno alla casa doveva essere come un vassoio per la casa stessa, una base che seguisse la situazione morfologica, le curve di livello che dovevano rispettare l’andamento del terreno si sono rettificate”
Prima dell’intervento la villa era circondata da una sistemazione realizzata, come dichiara la stessa progettista:
“Agli inizi del secolo era stato costruito davanti alla casa, circondato da vegetazione a macchia, un giardino all’italiana con palme, arbusti e fontane che ne avevano compromesso il rapporto armonico”».
Il nuovo disegno spregiudicato fu ideato quindi per razionalizzare il rapporto volumetrico nella ricerca armonica di un equilibrio spaziale. Il giardino di prato solcato da linee di cemento, fasce parallele di gradoni che convergono verso il bosco, con angoli retti, scarti improvvisi, cambi di direzione che rinnovano in continuazione i punti di fuga, secondo l’idea originale dell’architetto era:
“[..] di seguire il principio della Land Art, un’arte che penetra nella terra, che imprime nella terra il segno di una espressione, questo senza rinnegare la lunga tradizione del giardino all’italiana”‘.
L’intervento di Granaiolo si può quindi definire un’opera moderna, originale, che concretizza l’idea del giardino come opera d’arte appositamente concepita per uno specifico luogo. Contemporaneamente affronta il problema del rapporto tra preesistenze e nuovi interventi, anticipando soluzioni presenti e future.
Frattanto l’interesse e il dibattito sul tema del giardino si andava sempre più intensificando. Gli studi degli anni Settanta fecero maturare una cultura del giardino più diffusa e incrementare sistematici approcci disciplinari. Una delle tappe fondamentali, dopo dieci anni dal primo convegno sui giardini storici”,
fu sicuramente la “Carta dei giardini storici”, elaborata a Firenze nel 1981. Tale documento, noto anche come Carta di Firenze, considerando il giardino storico come un “monumento vivente’, fornisce interessanti definizioni e fondamentali precetti riguardanti la “manutenzione, conservazione, restauro o ripristino” dei molteplici manufatti, nel rispetto dei cicli naturali. Il giardino quindi viene considerato un’opera d’arte delicatissima costituita, tra gli altri elementi, da materia vivente per cui:
“il suo aspetto risulta […] da un perpetuo equilibrio, nell’andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d’arte e d’artificio che tende a conservarne perennemente lo stato”
Ines Romitti