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Le Corbusier e Villa Adriana

Le Corbusier e Villa Adriana

A cura dell’Ing. Christian Doddi | L’Antico e il Nuovo.

Con il passaggio storico dal Medioevo al Rinascimento, si inizia a riscoprire la cultura non più come esclusiva dei monaci, ma si scopre essere moda tra le famiglie più importanti. Tale fenomeno, che prende il nome di “mecenatismo” in riferimento a Mecenate, crea una necessità di evoluzione nel campo della pittura, della scultura, dell’architettura e delle arti in generale. Si inizia a riscoprire il genio dell’antico, aprono le famose botteghe (luoghi in cui si lavorava l’arte e si istruivano adulti e bambini) e si cominciano a studiare le antiche rovine romane. Questa grande rivoluzione culturale genera di conseguenza una “competizione” tra Chiesa e nobili, a chi potesse permettersi il meglio in circolazione, e grazie a questa sorta di gara, oggi possiamo ancora ammirare capolavori come quelli di Leonardo, Michelangelo, Raffaello etc. In ambito architettonico è obbligatorio citare due dei più grandi esponenti nello studio e nella realizzazione di opere eccelse, ovvero Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti. Si comincia, quindi, a vedere l’architettura non più come necessità convenzionale quotidiana, in cui basta avere un rifugio dove vivere, o come un’arma di difesa militare, o anche come un luogo di recupero di antiche rovine dove poi instaurare un luogo di culto, ma ora si inizia a vedere proprio come una materia ben studiata, con chiari simbolismi e precise proporzioni e soprattutto rivoluzionaria. Va comunque sottolineato che nel periodo medievale l’architettura ha già una sua identità embrionale, basti pensare alle grandi cattedrali del Nord-Europa, o a quelle opere tipiche del Romanico italiano, ma a differenza della riscoperta della materia nel Rinascimento, l’architettura medievale per quanto scenica, è soltanto la fase iniziale di quello che vedremo dal ‘400 in poi. È quindi sbagliato dire che nel medioevo non vi era una sensibilità architettonica, l’uso di simbolismi e lo studio di proporzioni giuste, però non è errato concepire la nascita dell’architetto moderno con l’avvento del Rinascimento e la moda del mecenatismo.

Ma come ci si poteva distaccare dal nudo “semplicismo” del Romanico e dalla spiccata prismaticità del Gotico? La risposta fu tanto semplice e scontata quanto complicata da trovare: lo studio e la ricerca dell’architettura romana. Attualmente è semplice pensare all’antico quando si pensa all’architettura, ma nel ‘400 non era affatto così. Solo i monumenti più maestosi erano visibili e tra l’altro non esistendo il concetto di restauro, o erano in rovina totale o erano tamponati da murature medievali per il riuso necessario alla vita e alla difesa, data la facile reperibilità a costo zero di strutture preesistenti e materiali pregiati in loco. La riscoperta della figura dell’architetto, e del concetto antico di architettura, spinge geni come Brunelleschi e Alberti a studiare e riadattare alla loro maniera i dogmi stilistici ci dell’antichità. Due esempi calzanti sono la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, opera eccelsa del Brunelleschi successiva allo studio delle cupole romane e nello specifico quella del Pantheon, per risolvere i problemi statici dovuti all’enorme spinta della struttura; e il Tempio Malatestiano dell’Alberti a Rimini, dove l’architetto riveste la chiesa medievale di San Francesco con un involucro chiaramente riferito agli acquedotti romani. Vi è poi Bramante5, colui a cui è attribuito dal Vasari6 l’aver più di tutti assimilato l’antica maniera e averla reinventata con “invenzion nuova”. Senza contare poi i due grandi geni del Barocco, Bernini7 e Borromini, che acquisirono gli ordini classici e li utilizzarono per dare a Roma un nuovo aspetto del tutto classicheggiante seppur coerente con il loro periodo di appartenenza. Come d’altronde è stato in grado il Palladio di dare vita a un proprio stile ben riconoscibile con l’utilizzo quasi ossessivo degli ordini antichi. Ciò che riesce a questi grandi esponenti dal Rinascimento in poi, è la grande capacità di reinventare continuamente l’architettura antica senza incombere nella tentazione di copiarla. Sarebbe troppo semplice e superfluo rilevare un tempio antico e riprogettarlo tale e quale come successe nella gran parte dei casi del Neoclassicismo Tedesco di fine ‘800. Il compito dell’architetto è quello di cogliere il massimo dalle opere passate e rielaborarle in chiave moderna. Questo è il concetto di ispirazione architettonica che va ben oltre quello di copia. Per quanto possa risultare scenico riprogettare completamente allo stesso modo un monumento come per esempio il Partenone o il Palazzo di Diocleziano, non darebbe merito all’architetto di una propria cognizione artistica, di una propria sensibilità architettonica e di un proprio talento. Dal Rinascimento in poi, quindi, l’interesse per l’antico è andato crescendo man mano nei secoli. Ciò ha comportato, già nel ‘500 con Sebastiano Serlio, l’inizio di una serie di trattati rivolti allo studio dei monumenti antichi, e nello specifico quelli di Roma. Si arriva poi ai trattati del Palladio fino allo studio degli ordini architettonici del Vignola, punto cardine delle proporzioni, e indispensabile fonte per chiunque proseguisse la professione di architetto.

Il Classicismo Nascosto.

Anche con il brusco cambio stilistico dall’Eclettismo al Razionalismo, le componenti del classicismo nella nuova composizione architettonica non andranno perse. Se ci si focalizza sull’architetto svizzero naturalizzato francese, Le Corbusier, si può prendere come esempio una delle sue opere più iconiche: la Villa Savoye, dove è riscontrabile l’applicazione di tutti e cinque i punti “di una nuova architettura”. Ricordiamo tali punti:

Tetto giardino: con le nuove tecnologie è stato possibile bypassare la necessità di costruire tetti a falde, quindi creare una nuova spazialità usufruibile, appunto, come un giardino rialzato;

Finestre a nastro: grazie al calcestruzzo armato si è potuto sorpassare dei limiti imposti dalle vecchie tecniche costruttive, e questo ha reso possibile, grazie a sbalzi rispetto alla struttura, la realizzazione di finestre continue in facciata;

Facciata libera: vale lo stesso concetto delle finestre a nastro;

Pianta libera: sorpassata la necessità strutturale di progettare piante continue in verticale e in orizzontale per via della muratura portante, con il calcestruzzo armato si può disporre la composizione interna della pianta in maniera del tutto libera;

Pilotìs: la struttura a vista, leggermente rientrata rispetto al filo della facciata per poter permettere i punti 2 e 3, composta da pilastri cilindrici è tra i tratti distintivi dello stile corbusiano.

Nella Villa Savoye oltre a ritrovare i cinque punti, vi si riscontra il tema del tempio greco. Difatti con i Pilotis a vista a rappresentare le colonne dell’edificio sacro, la facciata libera a ricordo del timpano e le finestre a nastro ad emularne il fregio, l’opera può essere definita come la rielaborazione in chiave moderna degli antichi monumenti religiosi greci. Ora, prendendo in esame tre capolavori dell’architettura di tre periodi storici differenti, quali il Tempio Malatestiano dell’Alberti, la Villa Malcontenta di Palladio e la Villa Savoye di Le Corbusier, possiamo notare similitudini e differenze sostanziali. Tutte e tre le opere derivano dallo studio dell’antico, in particolare il Tempio Malatestiano e la Malcontenta presentano un utilizzo eccelso degli ordini architettonici a ricordo degli antichi monumenti, ma rielaborati in ambito quattrocentesco e cinquecentesco. Quel che più rappresenta, forse, l’ordine architettonico, è di certo la colonna nel suo complesso (fusto, base, capitello), ma vi sono altri aspetti, poco visibili, ma non meno importanti, quali simmetrie e (soprattutto) proporzioni. Il classicismo che ritroviamo nell’Alberti e nel Palladio, quindi, è più una splendida applicazione dell’ordine, con l’utilizzo di colonne e modanature, seguendo giuste proporzioni e simmetrie ben ragionate. Nel caso corbusiano, invece, il classicismo si riscontra nell’evoluzione stravolgente della nuova architettura, dove la Villa Savoye è la rappresentazione del Tempio Greco, seppur spoglia dei capitelli, delle modanature, degli ornamenti e di tutto ciò che in ambito razionalista divenne superfluo per dar seguito al movimento dell’avanguardia. Nonostante questo forte distacco da un eclettismo classicista, Le Corbusier (come Louis Kahn) è stato in grado di applicare in modo astratto i concetti dell’architettura antica, e dare vita ad opere tanto classiche quanto moderne.

Il Viaggio e lo studio di Villa Adriana.

Al ritorno dal suo viaggio di studio, tra il 20 e il 26 ottobre 1911, Le Corbusier passa a Tivoli e visita i due suggestivi siti di Villa d’Este e Villa Adriana. In questo piccolo tour prende appunti, ma soprattutto fa disegni concettuali anche se ben ragionati, dei monumenti da lui visitati. Tutt’oggi gli schizzi sono conservati presso la “Foundation Le Corbusier” a Parigi e sono tratti dai sei “Cornets del Voyage d’Orient”. Studiandoli è possibile percepire le intenzioni dell’architetto verso ciò che reputa essenziale per il suo percorso professionale e per la sua crescita formativa. Citando Daniele Pauly: “…se il ricordo di Villa Adriana a Tivoli torna alla sua mente quasi di colpo, non è solo perché Le Corbusier è andato a Tivoli e ha visitato il luogo, quel luogo così suggestivo, ma, soprattutto perché sceglie di disegnare ciò che lo colpisce e di cui vuole ricordarsi … il disegno assume realmente il ruolo di memoria per l’architetto”. Si capisce, quindi, qual è l’intenzione di Le Corbusier, ovvero imprimere il ricordo di ciò che lo affligge, con disegni rappresentativi dai monumenti che più lo colpiscono. Tali disegni estrapolano l’essenzialità delle forme in purezza, ovvero colonne in cilindri, monumenti in prismi ecc…, disegna linee essenziali ed evita di inserire nel complesso la ricchezza decorativa e di dettaglio. Ciò che risalta, inoltre, è lo studio del paesaggio circostante. L’andamento collinare dei dintorni che spezza il vuoto dato dalla piana tiburtina verso Roma, mette a contrasto l’intero complesso e ne spiega anche le scelte urbanistiche e di progetto che Adriano attuò nella costruzione della sua dimora. Il dialogo tra la villa e il paesaggio circostante, non sfugge quindi all’occhio di Le Corbusier, e se fino agli inizi del ‘900 Villa Adriana era vista per il suo impatto scenico totalmente intrinseco, da quel momento in poi si inizio ad apprezzarla anche per le sue caratteristiche estrinseche. Vi sono anche disegni con vista a volo d’uccello del complesso, nonostante non abbia avuto la possibilità di vedere dall’alto il sito, le disposizioni prismatiche dei singoli edifici della villa rifletto la sua visuale d’interesse “dell’insieme” più che “del singolo” e soprattutto della sintetizzazione all’essenziale delle geometrie architettoniche. Nonostante ciò cura tantissimo il dettaglio nelle note di accompagnamento, approfondisce il suo interesse per il cemento romano e per i muri che in forza della loro luce generano lo spazio interno. Come dice Attilio Pizzigoni: “…a Tivoli lo affascina la vasta immagine prospettica del paesaggio tra l’intima scenografia delle architetture di Villa Adriana…”.

L’interesse per il paesaggio circostante deriva anche dalla visione in cui l’architettura romana è composta da una razionalità capace di adattarsi a tutte le condizioni materiali e paesaggistiche e in caso di necessità (vedi per esempio gli imponenti acquedotti) le modificava senza scalfirne l’ottima simbiosi che si generava. A Villa Adriana tale razionalità, era inserita in un contesto naturale decisamente favorevole alla creazione di prospettive totalmente diverse a seconda del punto di vista di uno stesso monumento, e tale pregio contestuale e naturalistico rende tutto più scenico e d’impatto.

Le Corbusier su “Vers un architecture” descrive con poche e semplici parole ciò che più egli nota riguardo l’ambiente circostante e il sito archeologico: “Nella Villa Adriana piani orizzontali stabiliti in accordo con la piana romana; montagne che chiudono la composizione stabilita, dal resto, rispetto ad esse”.

Come spiegato precedentemente nella descrizione del classicismo corbusiano nella Villa Savoye, l’interesse di Le Corbusier non è nella ricostruzione filologica, ma è nella capacità di modernizzare la storia estrapolandone i significati essenziali. È difatti di notevole importanza sottolineare come l’architetto non sembra aver dedicato particolari attenzioni al Teatro Marittimo e ai monumenti più articolati, mentre si sofferma di più su quegli edifici dal particolare aspetto chiaroscurale, dato da giochi di ombre e luci, tema ricorrente nel modo di progettare le sue opere. Sempre su “Vers un architecture” scrive: “Fuori Roma, all’aria aperta, hanno fatto la Villa Adriana. Qui si medita nella grandezza di Roma… Passeggiare nella Villa Adriana e dire a sé stessi che la potenza moderna di organizzazione che è romana, non ha ancora realizzato niente, quale tormento, per un uomo che si sente partecipe, complice, di questo fallimento disarmante…”.

Tale esperienza non fu soltanto teorica, anzi, Le Corbusier sfruttò quegli studi apportati sui monumenti della Villa per realizzare una delle sue opere più famose: la Cappella di Ronchamp. Evitando di descrivere il monumento nel suo complesso, per non incombere nella trappola del fuori tema, ci soffermeremo nei particolari ispirati da alcune parti di Villa Adriana. La tematica “ombra e luce” della Cappella di Ronchamp nasce dalla particolare impressione che Le Corbusier ebbe dagli edifici del c.d. Castro Pretorio e del c.d. Serapeo. L’imponente struttura arcuata del Pretorio presenta fessure verticali che creano un forte contrasto chiaroscurale; dall’esterno si percepiscono squarci di nero che si trasformano in aperture luminose se viste dall’interno del monumento. Già dai disegni si nota lo studio di queste grandi fessure che poi ritroveremo nell’opera di Ronchamp. È di particolare interesse osservare come Le Corbusier riporti anche le fessure dovute al degrado della muratura, in modo da realizzare altre bucature coerenti con l’ispirazione architettonica del Pretorio. Tale opera però è strutturata anche sulla base dello studio della particolare morfologia del Serapeo, ideata in modo tale da essere un perfetto pozzo di luce. Il progetto di Ronchamp e i disegni del monumento adrianeo mostrano questa evidente similitudine, a riprova dell’importante interesse che l’architetto dimostrò per questi giochi di luce e ombre che successivamente realizzerà in chiave moderna e rivoluzionaria nella chiesa francese.

In conclusione, la Villa fu ed è tutt’ora oggetto di studi architettonici e urbanistici che sorprendono ancora per l’incredibile modernità delle scelte, scelte che rimaneggiate da geni dell’architettura come Le Corbusier e Louis Kahn (vedi per esempio gli Hospitalia e il Salk Institute) ci regalano opere tutt’altro che antiche. Nella nuova architettura vie è la possibilità di riproporre il classicismo se si comprendono i fattori chiave e se si riesce a guardare oltre lo stile decorativo. Le Corbusier vedeva una splendida colonna corinzia in marmi pregiati e composta da elegantissime decorazioni, come semplici cilindri, cogliendone quindi l’essenza prismatico-geometrica. Ciò che più lo colpì, per esempio, alla vista dell’Acropoli di Atene, non fu l’imponente impatto visivo del Partenone, ma l’inserimento nel contesto e soprattutto l’acustica del luogo, concetto base dello studio e del progetto della Cappella di Ronchamp, oltre ovviamente a quello del gioco chiaroscurale delle ombre di cui abbiamo parlato poco prima.

Bibliografia

Le Corbusier a Villa Adriana. Un Atlante, Eugenio Gentili Tedeschi Giovanni Denti, Alinea Editrice 2006

Verso un’Architettura, Le Corbusier

Le Corbusier, Attilio Pizzigoni, Luisè 1991

Le Corbusier, Danièle Pauly, Electa 1993

Il genio di Filippo Brunelleschi e la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore, Massimo Ricci, Sillabe 2014

Dizionario di architettura, N. Pevsner J. Fleming H. Honour, Einaudi 1981

L’architettura del mondo antico, Bozzoni Franchetti Pardo Ortolani Viscogliosi, Laterza 2006

Guida agli ordini architettonici antichi: Il Dorico, Giorgio Rocco, Liguori 1994

Villa Adriana, il sogno di un Imperatore, Eugenia Salza Prina Ricotti, L’Erma di Bretschneider 2001

L’architettura del mondo romano, Morachiello Fontana, Laterza 2009

De Architectura, Marco Vitruvio Pollione

Il Tempio Malatestiano, Paolo Portoghesi, Sansoni Editore 1965

Architettura Rinascimentale in Italia, Marco Bussagli, Magnus 2012

Gaio Clinio Mecenate 68 a.C. – 8 a.C., consigliere dell’Imperatore Augusto, fu uno degli uomini più ricchi dell’antichità e creatore del “circolo di Mecenate” cui facevano parte i più grandi poeti e artisti dell’epoca augustea.

Filippo Brunelleschi 1377-1446, architetto, ingegnere, scultore e matematico rinascimentale, tra i più influenti e famosi nella storia dell’architettura.

Leon Battista Alberti 1404-1472, architetto, scrittore, matematico e filosofo, fu come il Brunelleschi, uno delle figure più importanti dell’architettura. Scrisse il De Re Aedificatoria.

La “nuova architettura” rinascimentale non si limita allo studio dell’antica Roma, ma come nel caso dell’Alberti, vi è anche la rielaborazione del Romanico in chiave quattrocentesca, basti pensare per esempio alla facciata della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, dove l’architetto ripropone gli elementi stilistici del Romanico Toscano.

Donato Bramante 1444-1514, fu un architetto e pittore italiano, tra i più influenti del Rinascimento.

Giorgio Vasari 1511-1574, fu pittore, architetto e storico dell’arte italiano. Scrisse Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti da Cimabue ai giorni nostri.

Gian Lorenzo Bernini 1598-1680, fu architetto e scultore, la punta di diamante del Barocco Romano insieme al suo “rivale” Francesco Borromini.

Francesco Borromini 1599-1667, architetto, fu insieme a Bernini il maggior esponente del Barocco Romano, famoso per le sue forme dinamiche e incredibilmente rivoluzionarie. Scrisse l’opus architectonicum.

Andrea Palladio 1508-1580, fu architetto e teorico dell’architettura. Scrisse I quattro libri di architettura e Delle case di villa.

 Sebastiano Serlio 1475-1554, fu architetto e teorico dell’architettura. Scrisse I sette libri dell’architettura.

Jacono Barozzi da Vignola 1507-1573, fu architetto e teorico dell’architettura. Scrisse Due regole della prospettiva prattica e Regola delli cinque ordini d’architettura.