Da bambino, in quarta e quinta elementare, a Varigotti, Riviera di Ponente, in classe eravamo in undici. Due erano figli di pescatori. Le loro case erano modeste, al piano terra, due o tre grandi stanze dove tutto coesisteva: cucina, stoviglie, letto, reti da pesca, gabinetto, attrezzi, vestiti. Siamo verso il 1965, le case si affacciavano sulla piazzetta che ancora oggi si chiama Piazza dei Pescatori. Lì d’inverno quando il mare si faceva minaccioso le famiglie dei miei compagni pescatori tiravano su i loro gozzi di legno per proteggerli dalle mareggiate, Non appena passava il mal li riportavano sulla spiaggia e ogni sera andavano a calare le reti.
Dieci anni dopo era tutto finito. La prima a comprare casa, la più bella, quella al centro, unica di fronte al mare, fu Gina Lagorio. Ora siamo a 12.000 euro al metro quadro, ma l’umidità salmastra è rimasta quella di allora.
Dall’infanzia ligure la passione per le barche e per tutte le imbarcazioni che solcano le acque non ha smesso di crescere. Barche da pesca, barche di lago o di laguna come qui nel Delta, giunche d’oriente, piroghe africane, rimorchiatori, barche a vela, yacths, mercantili, bettoline, piroscafi, traghetti e navi passeggeri suscitano in me ammirazione e stupore. Ogni volta che trovo un porto, un porticciolo, un approdo mi fermo, sogno ad occhi aperti e resto in osservazione.
A Genova, da studente delle superiori e universitario, salivamo sopra Corvetto o a Castelletto per inquadrare il porto dall’alto e vedere se erano arrivati i ‘transatlantici’ Michelangelo e Raffaello: navi passeggeri destinate a breve a lasciare il posto agli aerei, ma di cui in quegli anni, dal 1965 al 1975, andavamo fieri perché erano belle da vedersi e poi crescendo e studiando avremmo scoperto che erano anche arredate con talento e arte.
Una dozzina d’anni più avanti sono sbarcato a Lecce e lì dopo una lunga infatuazione con R.M. Rilke mi sono innamorato di Fernando Pessoa. La sua Ode Marittima è quanto di più alto io conosca di poesia dedicata al mare. In essa c’è un verso che da allora mi è rimasto impresso: “… una nave sarà sempre bella, solo perché è una nave.”
Ci ho creduto a lungo ma poi in questo secolo nuovo ho iniziato a dubitarne. Come se non bastassero le portaerei, le petroliere e le portacontainer lunghe oltre 300 metri di recente anche le navi da crociera hanno assunto un aspetto imbarazzante. Sono dei condomini di 15 piani dove si fatica a capire dove siano la prua e la poppa. Le foto di Berengo Gardin con queste navi incombenti su Venezia dicono tutto.
Conosco gente che ci lavora sopra, altri che le arredano e altri che le promuovono, mi perdoneranno, forse, ma ho pochi dubbi: sono entità malate, hanno qualcosa di abnorme, fuoriscala.
Nei giorni scorsi ne abbiamo incontrate due che dormono nel porto di Ravenna, in attesa di tempi migliori. Non sono neppure delle più grandi e ciò nonostante fanno rumore anche da vuote, da ferme, perché sono macchine che non si possono mettere a tacere e la loro mole occupa uno spazio visivo che occlude la vista.
Ci siamo allontanati per oltre quattro chilometri, lungo una delle spiagge più belle di Ravenna, che da Porto Corsini arriva alla foce del fiume Lamone. Le navi erano sempre laggiù, come montagne, come palazzi di periferia. Ci hanno confortato i piro piro, che zampettano veloci da migliaia di anni. E mi ha confortato il verso successivo di Pessoa: “ Viaggiare è ancora viaggiare e la lontananza sta dove è sempre stata: in nessun luogo, per fortuna! ”