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tratto da La piramide rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta Terra, Pietro Laureano, Torino, Bollati Boringhieri, 1995

LA PIRAMIDE ROVESCIATA

Alla fine [del Paleolitico superiore] la formazione di imponenti strati di stalattiti testimonia le modificazioni climatiche che seguono la fine della grande glaciazione. Il clima diventa più caldo e lo scioglimento delle nevi mette in circolazione più acqua e piogge, agenti dei fenomeni di concrezione calcarea. Il miglioramento ambientale favorisce la vita neolitica che si svolge prevalentemente in insediamenti all’aria aperta. La grotta continua a essere utilizzata per usi sacrali e sepolcrali, ma ora le cavità naturali sono artificialmente trasformate con le tecniche di scavo. È il passaggio da una occupazione nomade, che si appropria dell’ambiente attraverso modificazioni che possiamo definire trasportabili, come l’accensione del fuoco, la raccolta dell’acqua e l’arte mobile o parietale, a interventi più massicci, implicanti una presenza stabile e un forte investimento motivazionale nella trasformazione dello spazio. I cosiddetti villaggi trincerati della Daunia in Puglia e nelle località di Murgecchia e di Murgia Timone presso Matera, occupati dal VII al IV millennio, rappresentano le prime manifestazioni neolitiche europee in cui un forte sovrappiù produttivo ha sorretto lo svolgimento di imponenti opere frutto dell’attività collettiva. Profondi fossati realizzati con i semplici attrezzi di pietra sono scavati nella superficie rocciosa per ottenere recinti a più cerchi concentrici, meandri a mezzelune che delimitano vaste aree. Contrariamente a quanto era apparso all’epoca del loro primo rilievo1 , i fossati non avevano uno scopo difensivo. In essi infatti non ertano state rinvenute punte di freccia o altre armi preistoriche. Inoltre sarebbero facilmente attraversabili in un attacco di gruppi umani. È probabile piuttosto che fossero funzionali alle pratiche neolitiche di allevamento e coltivazione. Lo studio, eseguito dal paleontologo Giuseppe Leuci, dei villaggi della Daunia caratterizzati da molteplici serie di trincee a forma di mezzaluna ha dimostrato come queste erano sistemi di drenaggio per bonificare e rendere utilizzabile il terreno2 . Le analisi delle foto aeree degli insediamenti di Murgia Timone evidenziano i perimetri riempiti ormai dal terreno per la vegetazione che cresce più folta grazie all’umidità raccolta nel fossato. È possibile che su questi altipiani calcarei lo scopo delle trincee fosse proprio quello di raccogliere l’acqua o l’humus. È stato riscontrato che tecniche analoghe furono utilizzate già dai raccoglitori paleolitici, che miglioravano il rendimento di piante commestibili selvatiche deviando verso di esse rigagnoli e drenaggi3 . Sul basamento roccioso che fronteggia l’abitato di Gravina di Puglia, fra le tracce di intagli, vasche e sepolture che si sovrappongono da periodi lontani, compaiono enigmatici graffiti circolari e altre figure geometriche. Uno di questi è formato da un cerchio che si innesta nell’angolo di un quadrato più grande che lo racchiude. I solchi della figura quadrata finiscono nell’angolo opposto in una cavità scavata più profondamente. Sembra proprio di vedere la schematizzazione progettuale di un sistema di drenaggio e raccolta di acqua quale è quello realizzato nell’impianto dell’insediamento neolitico di Murgia Timone. Questo racchiude una superficie di 20.000 metri quadrati che difficilmente poteva essere tutta dedicata a scopi abitativi. Nella parte in cui è visibile il basamento originale ripulito dai sedimenti, appaiono chiaramente i fori di pali infissi nella roccia. Gli abitanti dovevano quindi utilizzare capanne circolari simili a quelle dei paesi africani, realizzate con il materiale ligneo diffuso nell’ambiente ancora boschivo del Neolitico. Altre zone presentano lo scavo di cisterne a campana, tracciati di canalette, forse, vasche e silos. Alcune serie di cisterne sono collegate tra loro per realizzare un sistema di successive vasche di sedimentazione e di filtro dell’acqua piovana. Siccome solo una piccola porzione del perimetro è stata ripulita, non è possibile dire quanta parte dell’insediamento fosse utilizzata per scopi abitativi e quanta per le attività produttive. Ma è certo che queste ultime dovevano avere un posto di tutto rilievo. Gli altipiani e le colline della Puglia e della Lucania chiamati Murge con le loro rocce calcaree, ricche di grotte, anfratti naturali e inghiottitoi carsici, offrirono efficaci ripari naturali agli abitanti. Le vicende geologiche, plasmando forme e ambienti, hanno fornito il modello per i tipi abitativi successivamente utilizzati. Le Murge si sono costituite sul fondo del mare per sedimentazione di scheletri e organismi marini. La piattaforma calcarea, a causa di un lento sollevamento geologico, emerse completamente dal mare nel primo periodo del Quaternario. Lo scontro con la dorsale appenninica provocò il maggiore innalzamento della parte interna rivolta verso le montagne, chiamata Murgia Settentrionale o Murgia Alta. Nel sollevamento si formarono piegamenti degli strati che crearono zone più elevate, susseguentisi sul tavolato apulo come tante gobbe, più imponenti nella Murgia Alta, verso l’interno lucano, e via via digradanti verso la fascia costiera. Queste gibbosità calcaree spaccandosi formarono nel mezzo valloni più o meno profondi chiamati lame o gravine. Sono canyon quasi sempre asciutti tranne in occasione di violente piogge. La loro origine non fluviale spiega come mai le gravine sorgano improvvisamente nel paesaggio senza prima o dopo ci sia, o ci sia mai stato nel passato, un alveo dalla portata idrica capace di incidere l’enorme crepaccio. Infatti questo è frutto, come si è detto, non dell’azione di scavo di un fiume, ma di un innalzamento e di una frattura. Con il tempo l’avvallamento viene utilizzato dallo scorrimento delle acque e sottoposte alle forze dell’erosione. Le piogge incidono le rocce calcaree, forano le superfici e si infiltrano nel sottosuolo, dove scavano grandi cavità sotterranee. In alcuni casi le volte sprofondano e si creano depressioni circolari chiamate pulo. In superficie l’azione chimica di dissoluzione dei calcari produce una terra rossa molto fertile, detta bolo, che si accumula nelle conche e negli avvallamenti, o viene dilavata lasciando le rocce nude e trasportata verso la costa e il mare. Gli sprofondamenti circolari dei puli e i crepacci delle gravine e delle lame sono i luoghi più antichi di habitat umano e forniscono i tipi di base per la realizzazione di strutture insediative riprodotte poi in modi e situazioni differenti. Il pulo, come un grande imbuto, raccoglie le acque e protegge il terreno fertile e la vegetazione. Nelle Murge sud-orientali, a Conversano in provincia di Bari, sono ancora in uso i cosiddetti «laghi»: leggere depressioni e doline il cui fondo è attrezzato con numerosi pozzi cisterne che catturano le piogge stagionali4 . Le grotte naturali, disposte lungo le pareti in gotte circolari, formano le cellule abitative aperte sullo spazio interno. Si realizza una corte centrale su cui si aprono gallerie orizzontali radicali. Una struttura simile è prodotta artificialmente nelle miniere di selce neolitiche di cui il Gargano ha i più estesi esempi di tutta l’Europa5 . Questo modello dà luogo al tipo abitativo ottenuto scavando in verticale, verso il basso, nella superficie pianeggiante, una corte collettiva semicircolare a cielo aperto: il cosiddetto vicinato a pozzo, dalle cui pareti inizia il traforo delle cavità sotterranee parallele al terreno. È utilizzato nei pianori di Matera, lungo le sponde calcaree della Loira in Francia e sulle piattaforme argillose di Matmata in Tunisia. Nelle situazioni elaborate le gallerie si uniscono nel sottosuolo con quelle che si dipartono da altre corti a pozzo, dando luogo a un paesaggio di molteplici grandi buchi riunificati da una trama stellare di grotte. Livelli di organizzazione più complessa si realizzano nelle pianure di loess lungo il Fiume Giallo in Cina, dove la cavità verticale non è semicircolare ma è scavata in ambienti rettangolari. Nei villaggi degli Indiani Anasazi chiamati Pueblo, che si susseguono lungo il Chaco Canyon nell’America Settentrionale, e che risalgono al XII e XI secolo d.C., strutture analoghe hanno forme tecnologicamente molto elaborate, costituite da corti a pozzo, chiamate kiva, realizzate in una massiccia muratura a secco.