1. Premessa
La storia dell’arte italiana dei giardini è stata trattata finora seguendo due linee espositive ben distinte: la prima propensa ad esaltare quest’arte nel suo massimo splendore rinascimentale e barocco, privilegiando quindi la storia del giardino «all’italiana», piuttosto che quella del giardino italiano; la seconda concepita come una seducente rassegna di giardini eccellenti, ognuno emergente con caratteri storici e artistici ben definiti. In entrambi i casi il giardino finiva per essere separato da quella evoluzione delle idee che ne aveva condizionato la nascita e rinnovato nel tempo l’aspetto, lasciando supporre che esso fosse più il prodotto di un isolato estro artistico che il risultato di una meditata riflessione maturata dall’uomo nei confronti della natura.
Così Alessandro Tagliolini, nel 1988, nella premessa alla sua Storia del giardino italiano rende chiara l’idea di quanto sia giovane la disciplina che studia il giardino come opera all’interno della storia dell’architettura. Il giardino, per il suo ambiguo carattere diviso tra natura e artificio, e per la sua costituzione effimera e fortemente simbolica, è da sempre fonte di ispirazione e luogo di ambientazione di numerose opere letterarie e artistiche, nonché oggetto di innumerevoli manuali di giardinaggio. Ma è solo nel 1981 che l’International Council of Monuments and Sities riconosce nel giardino storico «una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato come un monumento», secondo quanto recita il primo articolo della Carta per la salvaguardia dei giardini storici, meglio nota come Carta di Firenze.
Il giardino si configura dunque nella cultura di ogni epoca come una testimonianza di una realtà storica, un organismo complesso ed un’espressione dell’opera dell’uomo da tramandare e da salvaguardare. Il giardino, insieme al più articolato sistema del paesaggio, costituisce un tema di grande attualità; il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha da tempo strutturato all’interno della sua organizzazione un Ufficio Studi specifico e un Comitato Nazionale per lo Studio e la Conservazione dei Giardini Storici, mentre si sta consolidando oggi una vera e propria disciplina che trova sempre maggiore spazio nelle università italiane. La recente opera di Vincenzo Cazzato, Ville e giardini italiani. I disegni di architetti e paesaggisti dell’AmericanAcademy in Rome, oltre ad analizzare in maniera critica il contesto in cui si inaugurarono gli studi sul giardino storico, offre l’occasione per ripercorrere sinteticamente la fortuna bibliografica sul tema in Italia, inserita di volta in volta nel momento storico-ideologico di pertinenza.
Questa rassegna, senza alcuna pretesa di completezza e di esaustività, vuole individuare in breve le principali opere che hanno segnato a carattere nazionale lo sviluppo della storiografia sul giardino storico, citando quelle straniere per il significativo carattere pionieristico e per il fondamentale apporto nell’inquadramento storico. È quindi imprescindibile anche solo citare come testi di riferimento per una visione organica, il breve volume di Pierre Grimal L’arte dei giardini e L’architettura dei giardini d’Occidente dal Rinascimento al Novecento, curato nel 1990 da Monique Mosser e Georges Teyssot. Rispettivamente, il primo offre una veloce, ma ancora valida panoramica a partire dalle origini, utile a un’introduzione sull’argomento. Il secondo è un riferimento essenziale per gli studiosi e illustra in maniera approfondita ogni singolo arco temporale con saggi di esperti del settore, corredato da una sintesi esemplificativa delle opere e delle tipologie con la relativa bibliografia per i diversi paesi europei.
Data la vastità della produzione libraria sul giardino, sviluppata nel corso del XX secolo in Italia, e che oggi vede nei Giardini Botanici Hanbury una specifica sezione all’interno del Premio Grinzane Cavour, si vogliono qui sintetizzare i momenti che hanno maturato progressivamente studi scientifici e analisi critiche, anticipando una necessario excusatio per aver dovuto compiere delle scelte. Saranno quindi contestualizzate in ordine cronologico quelle opere che sono ancora oggi di riferimento, escludendo dalla indispensabile selezione saggi e studi a carattere regionale e locale e monografie. L’architettura dei giardini è, come recita l’articolo 2 della Carta di Firenze, «una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente e come tale deteriorabile e rinnovabile», e, in quanto tale, interagisce tra diverse discipline. Data, appunto, la diversità degli argomenti che circoscrivono il tema, insita proprio nella composizione materiale del giardino, si è deciso di approfondire la bibliografia limitatamente all’area storico-architettonica, che comunque rimane copiosa. Si fa qui solo cenno alle principali pubblicazioni su aspetti che vanno al di là del nostro obiettivo, come la botanica, la letteratura, la trattatistica, il restauro e la valorizzazione, che specificano peculiarità del complesso sistema-giardino.
Citiamo, a titolo di completezza, alcuni volumi più recenti che aggiornano e integrano con ampia bibliografia e critico atteggiamento scientifico gli apporti nei suddetti campi. Così, per esempio nella botanica storica, l’opera di Federico Maniero, Fitocronologia d’Italia, è un excursus che restituisce in maniera organica un quadro conoscitivo sull’arrivo delle nuove specie vegetali in Italia e rappresenta un aggiornamento della datata Cronologia della Flora Italiana di Pier Andrea Saccardo. Tra i manuali, invece, prima si ricorda Il giardino e il tempo: conservazione e manutenzione delle architettu- re vegetali, a cura di Maurizio Boriani e Lionella Scazzosi, e, poi, i Giardini storici. Principi e tecniche della conservazione di Mariachiara Pozzana, che rappresentano uno strumento di guida alle problematiche del restauro e della gestione, corredato quest’ultimo di un’appendice legislativa sull’argomento, a cui bisogna aggiungere l’odierno Capitolato speciale d’appalto, prodotto da membri del Comitato Nazionale, da funzionari di Soprintendenze e da un esperto dell’Associazione Italiana Architetti Paesaggisti.
2. La costruzione dell’immagine del giardino all’italiana
Non ancora scritta da storici, la pubblicistica sul giardino storico italiano all’origine è materia di operatori del settore e/o umanisti, come paesaggisti e letterati.
Quando Edith Warthon, all’inizio del XX secolo, scrive Italian Villas and their Gardens è da considerarsi una pioniera. È questo uno studio che respira ancora tutto il sapore decadente d’inizio secolo, accompagnato dalle illustra- zioni di Maxfield Parrish. L’autrice dichiara apertamente, sin dal titolo del primo capitolo, la sua deviazione edonistica nell’interpretare il «fascino del giardino all’italiana», secondo un’ottica filo-rinascimentale che impegnava la comunità straniera a Firenze e Venezia e che ruotava intorno al circolo di Bernard Berenson. Lo studio è concentrato sulle principali opere del centro e del nord Italia, seguendo il percorso che la portò nel 1903 dalle ville di Roma a quelle venete. Warthon, con un taglio critico di vasariana memoria, dichiara come «in nessuna epoca ed in nessun altro paese» la capacità di adattamento “alle linee architettoniche”, “alle necessità degli abitanti” e “all’ambiente circostante” fu risolto con tanto successo come nella sistemazione della residenza di campagna italiana dall’inizio del cinquecento alla fine del settecento», fino a quando gli Inglesi «hanno contribuito non poco alla distruzione degli antichi giardini, introducendo nei loro disegni due caratteristiche del tutto estranee al clima ed al suolo toscani, e cioè i tappeti erbosi e gli alberi caduchi». Radicalmente cancellata l’età antica e il medioevo, vengono poi omessi grandiosi parchi settecenteschi e tutto l’Ottocento, mentre si rende evidente la frattura che da qui a seguire segnerà in maniera significativa il corso dei restauri per quasi tutto il ’900, visto «che nella moderna riscoperta del giardino si dà così poca importanza a questi fondamentali principi artistici, l’appassionato non dovrebbe accontentarsi di ammirare superficialmente gli antichi giardini italiani, ma dovrebbe cercare di ricavarne alcuni principî da poter poi adottare in patria».
Tra le due guerre, lo storico dell’arte Luigi Dami illustra Il giardino italiano, specificando anch’egli che vuole definire «con qualche precisione, nelle loro varie apparizioni e casi varii, quelle forme che, determinatesi tra il quattro e il cinquecento, tra Firenze e Roma, costituirono allora e poi l’arte italiana del giardino». Il carattere rappresentativo della patria è in questo caso fortemente ideologico e identificativo del suo valore culturale, laddove «la parola “italiano” ha in questo libro significato stilistico, non geografico». Travalicando i confini, Dami, come la Warthon, non scrive una storia del giardino in Italia, ma ancora di quello all’italiana. Con particolare enfasi per il primato nazionalistico, all’avvento del giardino paesaggistico per il giardi- no italiano non era più possibile «intendersi né venire a patti. Ove la nuova trionfava era la morte della vecchia. […] Alla fine del sec. XVIII il giardino italiano chiude il ciclo delle sue incarnazioni. D’allora in poi i nuovi giardini per un cinquantennio, furono costruiti secondo l’ultimo stile; e moltissimi de’ vecchi guasti e rifatti. Dopo di che siamo andati miseramente a finire, in Italia e dappertutto, in un eclettismo senza stile», annunciando così la morte del giardino italiano. Egli, per risalire alle «origini storiche» del problema, amplia il contributo delle fonti e riconosce un apporto fondativo già nel giardino medioevale, attraverso «invenzioni, e barlumi di invenzioni, fortui- ti», quando la civiltà aveva ricostituito una propria arte del giardino, come il resto d’Europa ma «senza nessun carattere di stile specifico» per l’Italia. L’attenzione è poi tutta concentrata sul giardino rinascimentale e sulla sua evoluzione fino al Settecento, come si afferma nel centro-nord della penisola «dopo tanti assaggi e tasteggiamenti tutti presso a poco nello stesso senso […], la realizzazione d’arte doveva venire fuori con speditezza e semplicità». Dami dedica molta attenzione ad estrarre dalle opere i caratteri tipologici identificativi del giardino italiano, il quale «non si chiude in sé orgoglioso solo dei suoi boschi o delle sue fontane, ma tende idealmente […] a dilatare la sua ampiezza fondendosi colle linee e gli aspetti attornianti, senza volere una delimitazione troppo aspra che lo separi seccamente».
La riflessione critica su I principi ordinatori del giardino italiano, come li definisce Maria Teresa Parpagliolo nel numero 37 di «Domus», furono oggetto di un dibattito vivo negli anni che portarono alla Mostra del giardino italiano tenutasi a Firenze nel 1931. L’iniziativa di Ugo Ojetti, pervasa da un puro spirito patriottico, intendeva dichiaratamente «radicare nel pubblico la persuasione che nell’architettura del giardino l’Italia ha un primato indiscutibile di tempo, di quantità e di qualità». Il progetto è di recuperare il ritardo della cultura nazionale su un’arte che era giudicata «tipicamente italiana» e «sin- golarmente nostra», e riportare in auge quella che era considerata l’età d’oro del giardino storico, comprendendo a fatica il giardino del primo Ottocento.
Il dopoguerra è segnato da anni di silenzio nella produzione scientifica in Italia, fatta eccezione per il contributo di Francesco Fariello, il quale per primo amplia nell’Arte dei giardini l’orizzonte d’interesse al di là del Rinascimento, riconosce senza pregiudizi storici che «il giardino, nel suo vero senso, è una composizione estetica, che per varie forme e gradi può assumere valore di opera d’arte». L’autore mette però in dubbio «se questa forma d’arte sia storicamente concepibile, giacché i giardini sono soggetti a continuo cambiamento e tutta la loro vitalità rende difficile una valutazione critica definibile», anticipando riflessioni sull’essenza stessa del giardino. Sino a tutti gli anni Sessanta, si succedono principalmente opere di carattere divulgativo e pubblicazioni ben illustrate che ebbero il merito di diffondere la conoscenza di quelli principali, mentre non mancano mostre e opere ri- guardanti aspetti a carattere regionale. Come rileverà Isa Belli Barsali, sono ancora gi studiosi stranieri a precedere l’attenzione ai giardini storici, e, in questo senso, è significativo il contributo più scientifico sui Giardini d’Italia di Georgina Masson.
Trovano posto, tra l’altro, saggi e manuali di paesaggisti di stampo inter- nazionale, come L’architettura del paesaggio di G.A. Jellicoe, L’educazione di un giardiniere di Russel Page, Giardini d’Occidente e d’Oriente di Pietro Porcinai. Il più noto è certamente quello di Jellicoe, una raccolta di saggi basati su conferenze o scritti preparati per diverse occasioni in un volume destinato all’architettura militante. Questi dedica i suoi studi principalmente al giardino italiano del Rinascimento, «distribuiti con una certa regolarità al nord di Napoli», in cui tutta l’importanza è data alla geometria che reinterpreta le qualità insite nel genius loci. La netta limitazione geografica, temporale e critica ne fa ancora oggi un volume valido per la comprensione delle moda- lità progettuali del formalismo inglese di metà secolo, ma priva il volume di una sua valenza storica.
Ma, dei tre, il più interessante è quello che Porcinai scrive insieme al filosofo Attilio Mordini. Nel 1966, l’architetto nelle conclusioni del «racconto» come gli autori definiscono Giardini d’Occidente e d’Oriente sottolinea che questo non è ancora una storia del giardino, perché «una tale storia, profonda e particolareggiata non è stata ancora scritta». In questo breve volume, in un’Italia che viveva la fine del boom economico e si avviava ad anni di contestazione, l’excursus storico attraverso il giardino assume un carattere significativamente simbolico, diretto a un rilancio della progettazione «per vincere quel senso diffuso di scontentezza, tipico della nostra epoca, che deriva dall’aver imprigionato l’uomo negli schemi rigidi di una società indu- striale che gli toglie, sempre più, la possibilità di applicare le proprie facoltà creative», con un tono polemico tipico di quegli anni. Il testo è volutamente limitato nel contestualizzare le opere, sono difatti inserite nel testo tre tabelle sinottiche per offrire al lettore una veloce panoramica storica, in quanto mira alla scoperta «del suo essere, del suo significato, del suo insegnamento per la vita. Non esiste più soltanto l’interesse storico-filologico ma anche la ricerca storico-metafisica ai fini della nostra vita». L’opera si suddivide in capitoli distinti per aree geografiche d’interesse, e ad un Occidente storicizzato si oppone un Oriente dalle profonde radici religiose, cui fanno corona la Cina e il Giappone pregni di filosofia, e, a completamento, un’America, considerata «d’oriente fino alla conquista degli europei e d’occidente da allora ai nostri giorni». Il giardino è riassunto in pochi concetti base e 43 immagini esemplificano con didascalie discorsive la sua storia, che da Roma giunge ai «grandiosi giardini» settecenteschi, mentre è ancora in ombra tutto l’800 e il ’900, negando la tipologia del giardino pubblico, affermatosi durante l’Illuminismo e ampiamente diffuso in Europa nel periodo napoleonico.
Il fondamento ideologico alle basi degli anni della contestazione, crea le condizioni per una nuova visione critica e ontologica del giardino storico.
Nel 1973, negli anni della disillusione e della critica militante al Moderno, Rosario Assunto pubblica Il paesaggio e l’estetica. Due volumi che rappresentano un caposaldo nella storiografia del giardino e del paesaggio, l’uno intitolato Natura e Storia, l’altro Arte, Critica e Filosofia, la cui prima edizione includeva anche i capitoli sull’arte dei giardini, poi confluiti, con alcune modifiche, in Ontologia e teleologia del giardino, mentre la seconda edizione è la trattazione monografica dedicata al solo paesaggio. Il giardino è qui indagato quale archetipo edenico, in opposizione alle mitologie del progresso, con tono fortemente speculativo. Un libro in cui si affronta il problema estetico in maniera organica, sotto tutti i suoi aspetti, «risultato di dieci anni di me- ditazioni, di letture, di ricerche, tenute insieme da un filo nel quale i colori dell’amarezza e della disperazione hanno sempre più preso il sopravvento su quelli iniziali della speranza, della fiducia in un domani più bello e più giusto, al quale anche la riflessione filosofico-estetica potesse dare un suo contributo», in cui si matura un’opera che si può tranquillamente definire insuperata. Se più facile è la comprensione storica e artistica, l’autore apre e avvicina il lettore all’idea del giardino che platonicamente dà forma alle molteplici varietà dei giardini mentali e reali. Assunto moltiplica le prospettive di analisi e approccia in maniera interdisciplinare l’analisi del giardino, con la connessione di tematiche artistiche, filosofiche e letterarie, in un confronto teoretico che si intreccia con l’indagine storiografica, significando da questo momento al giardino un valore simbolico indelebile nella perfetta coincidenza di arte e natura. Massimo Ferrante, nel volume promosso nel 1995 dal Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo in memoria dello studioso a un anno dalla sua scomparsa, ricorda che «ad Assunto va il merito di aver posto un tale simbolo, con ammirevole lucidità ed ostinata passione, al centro della propria vocazione intellettuale, in forza del bisogno di riconoscere e ritrovare una realtà particolare, concreta e finita che offra ricetto all’infinita contemplazione». Alla sua opera, tra i capo scuola di un nuovo modo di fare storia del giardino, Raffaele Milani dedica un intero capitolo ne Il Pittoresco. L’evoluzione del Gusto tra classico e romantico.
In questi anni, si sviluppano le prime monografie e studi a carattere regionale. Merita, in tal senso, di essere menzionata la collana storica curata da Pier Fausto Bagatti Valsecchi sulle Ville Italiane, in cui sono analizzate dettagliatamente le architetture e i rispettivi giardini secondo un metodo tutto scientifico, in cui si incrociano la bibliografia precedente, la cartografia storica e una rinnovata campagna fotografica che rende conto della storia singole opere.
Sempre nel 1973, Assunto fu tra i fondatori dell’Archivio Italiano dell’Arte dei Giardini, primo centro di cultura ad occuparsi di documentazione e tutela, che promosse il convegno, primo nel suo genere, Il giardino storico italiano: problemi d’indagine – fonti letterarie e storiche, tenuto a San Quirico d’Orcia nel 1981. Negli atti sono affrontate in nuce le problematiche dell’indagine sul terreno e sull’utilizzo delle fonti storiche, iconografiche e letterarie per la ricerca e l’analisi critica sul tema che si svilupperanno da quegli anni a seguire, come dice in apertura Belli Barsali a proposito dei ‘falsi’ ripristini ancora in corso.
3. La Carta di Firenze e la riscoperta del giardino storico
Questo nuovo contesto di studio, portò in coincidenza alla nascita del Comitato e alla redazione della Carta di Firenze, a cui si deve indubbiamente legare l’incremento della pubblicistica. A queste prime istituzioni fa subito seguito la proliferazione di centri di studio e di ricerca, primo fra tutti il Centro Studi Giardini Storici e Contemporanei di Pietrasanta e quello di Storia e Arte dei Giardini di Palermo, la Fondazione Benetton a Treviso e il Gruppo Giardino Storico dell’Università di Padova, organismi che negli anni svilupperanno percorsi complementari e una preziosa produzione di saggi sull’argomento. Le pubblicazioni acquisiscono ora un carattere più organico e scientifico, avviando una procedura di distinzione tra le diverse competenze che ruotano intorno al giardino come specificità architettonica. Si distinguono le opere di progettazione da quelle di storia, così come si affiancano saggi e monografie sul restauro, sulla gestione, sulla botanica e sull’iconologia.
A partire dagli anni Ottanta, incomincia una ricca stagione di importanti convegni e di giornate di studio sul giardino storico che producono interessanti atti, come quello di Garda sul rapporto tra la letteratura e i giardini, a conclusione di un progetto di ricerca triennale nell’ambito delle università di Milano, Torino e Verona. In questa ‘rapidissima inchiesta’ «si supera il limite dell’apparenza, si va di là dello schermo delle cose quali si vedono e ci si inoltra nel profondo, nella zona delle motivazioni e delle pulsioni». Si prende in considerazione il «giardino della letteratura» come «occasione poetica polisemica, che veicola contenuti innumerevoli e significati inesauribili», fondando un utile strumento di studio per indagare le valenze simboliche e letterarie che introducono il giardino, «nel novero delle realtà spirituali che configurano l’inquietudine dell’uomo». Vi è, inoltre, l’attività del Gruppo Giardino Storico, che si propone di individuare e conoscere giardini e paesaggi da proteggere e valorizzare, attraverso corsi annuali di aggiornamento, le cui iniziative e le pubblicazioni sono documentate nel Quaderno dei 10 anni, mentre l’ultima impresa della coordinatrice Giuliana Baldan Zenoni-Politeo è confluita ne Il giardino e la memoria del mondo, una raccolta antologica di interventi.
Ovviamente, ora, è il nome di Tagliolini che, insieme a quello di Assunto e di Belli Barsali, ricorre indiscutibilmente come figura cardine per chi si occupi di ricostruire la storia delle idee e delle iniziative nel campo del giardino storico in Italia, tant’è che dopo la sua scomparsa l’AIAPP ha dedicato alla sua memoria un numero monografico della rivista «Architettura del paesaggio», n. 6. Costante è la sua curatela degli atti dei Colloqui internazionali a tema di Pietrasanta dal 1987 al 1995, di cui si ricorda a titolo esemplificativo Il Giar- dino Italiano dell’Ottocento, in cui si porta alla ribalta un secolo da sempre sminuito dalla storiografia nazionale.
Del 1988 è, invece, la Storia del giardino italiano. Gli artisti, l’invenzione, le forme dall’antichità al XIX secolo. Il volume dedica un’attenzione particolare ai rapporti fra giardino e paesaggio, fino a spostare su un nuovo terreno i termini consueti del rapporto tra giardino e villa, definendo per la prima volta non una storia del giardino all’italiana, ma una storia del giardino italiano. Il libro, documentato da un approfondito studio delle fonti, aggiornato dagli apporti scientifici allora noti, ricco di illustrazioni, di materiale iconografico e con una ampia bibliografia ragionata, oltre a trattare lo sviluppo storico- architettonico dell’arte dei giardini nei secoli, pone una particolare attenzione all’influenza che la tecnica ha sulla trasformazione del gusto. Un’attenzione particolare è dedicata alla rivalutazione di quella fase di passaggio dal giardino formale a quello informale e ai protagonisti che hanno partecipato a questa rinascita dell’arte. L’opera di Tagliolini è, ancora oggi, la visione più organica per una comprensione complessiva della storia del giardino in Italia.
A partire dagli anni Novanta, sono poi i preziosi volumi curati da Vincenzo Cazzato che l’Ufficio Studi del Ministero, d’intesa con il Comitato, ha dedicato al tema della conoscenza, della tutela e della valorizzazione. Il primo è Tutela dei giardini storici: bilanci e prospettive, in cui si affronta la complessa materia del restauro e della gestione dei giardini, riunendo attraverso nuovi apporti scientifici approfondimenti di forma teorica che esemplificazioni delle metodologie operate. Del 1992 è Ville, parchi e giardini per un atlante del patrimonio vincolato, una rilevazione dei decreti di vincolo emanati nel corso degli anni a tutela di ville, parchi e giardini vincolati o segnalati per la «non comune bellezza».
Ultima ma non ultima è La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra ’800 e ’900, che insieme al recente Ville e giardini italiani affrontano il tema del «restauro» del giardino storico in Italia fra Ottocento e Novecento. Il primo riunisce in forma antologica circa quaranta contributi di specialisti del settore, coprendo pressoché l’intero territorio nazionale secondo una successione di tipo geografica. Un percorso che da nord a sud guida, tra l’altro, alla scoperta di giardini, di architetti, giardinieri e amatori in gran parte allora sconosciuti.
Nel secondo, Cazzato continua la ricerca critica attraverso il Novecento per una ricomposizione per «frammenti per una storia del restauro del giardino storico», instaurando una stretta connessione fra ricerca storica e cultura del restauro. Si dimostra come il potere del libro di formazione per gli architetti abbia deformato la visione moderna del giardino storico in Italia, restituendo opere in stile, frutto di rifacimenti moderni, secondo il gusto fanée della «de- cadente» colonia straniera. Il restauro si è mosso così attraverso quei saggi di cui si è detto inizialmente e quei cataloghi florovivaistici in stile allora in commercio. Il suo recente volume offre l’occasione di osservare la trasforma- zione dell’immagine del giardino italiano, deformata da una lettura forzata. Interessante in questo senso è il saggio Il fascino del giardino italiano nella storiografia, diviso poi in una raccolta antologica dei testi che consentono di ricostruire il giardino italiano visto dagli stranieri e il giardino italiano visto dagli Italiani. Molti fra i più importanti giardini italiani sono il frutto di interventi attuati in quegli anni. Si tratta di ripristini sulla base di documenti o di antichi disegni, di completamenti in stile, di progetti eseguiti adottando un generico linguaggio che si rifà al giardino formale all’italiana, secondo un’impostazione metodologica discordante dalla successiva Carta di Firenze, ma che la curatela di Cazzato inserisce nel giusto contesto storico-artistico. Il testo, che comprende interessanti apporti di esperti come Claudia Lazzaro per la parte storiografica, Laurie Olin, Antonella Buci e Alessandra Vinci- guerra per il ruolo dell’Accademia americana di Roma e Marcello Fagiolo e Claudia Conforti per i temi e i metodi di rappresentazione, è corredato da un monumentale corpus di disegni dei borsisti, nonché un ricco apparato iconografico e bibliografico all’interno dei saggi stessi.
Si accompagnano alla produzione ministeriale, gli atti dei convegni internazionali, di cui si ricorda l’ultimo tenuto nel 2000 sul Governo dei giardini e dei parchi storici. Restauro manutenzione gestione, un tema di rinnovato interesse per la conservazione di un bene oramai di riconosciuta attualità.
Negli ultimi dieci anni, si è moltiplicata in maniera esponenziale la produzione di carattere scientifico, si sono sviluppate tematiche di inquadramento più generale, come la Storia del giardino europeo di Mariella Zoppi, e, al contrario, si è approfondito lo studio di un archi temporali ben distinti, comeNostalgia del paradiso. Il giardino medievale di Franco Cardini e Massimo Miglio, o, ancora, si è analizzato lo sviluppo di una particolare tipologia, come Per i piaceri del popolo. L’evoluzione del giardino pubblico in Europa dalle origini al XX secolo di Franco Panzini, e, invece, si è catalogato sistematicamente un singolo elemento, come per il prolifico tema della ‘grotta’, che dal convegno internazionale sugli Artifici d’acque e giardini. La cultura delle grotte e dei ninfei in Italia e in Europa è approdato ai volumi dell’Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia. Si procede così da un inquadramento storico del giardino nel più complesso panorama del Mediterraneo, in cui «si formano e si confrontano le due idee fondamentali dell’arte del giardino: quella formale e quella informale», ad uno studio puntuale delle fonti per la conoscenza del giardino nel Medioevo, tutt’oggi ancora parziale. Uno dei principali apporti storiografici di maggior interesse di Margherita Azzi Visentini è la preziosa antologia critica in due volumi di Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo, accompagnata da un completo apparato bio-bibliografico dei relativi autori che hanno tracciato le linee guida dell’arte in Italia, testo imprescindibile per una storia delle teorie architettoniche del giardino.
Infine, è la recente Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale di Luigi Zangheri, all’interno della nuova collana che l’autore insieme a Lucia Tongiorgi Tomasi ha inaugurato su Giardini e Paesaggio per Olschki. Zangheri, nella premessa, chiarisce però che «le pagine che seguono non intendono costituire un manuale di storia del giardino e del paesaggio, si propongono piuttosto come una rassegna di riflessioni e di documenti su temi non sempre indagati nella storia del “verde”». L’esame puntuale della bibliografia esistente e inedite fonti d’archivio, puntualmente citate in nota e riportate in appendice, fanno del volume un’opera esemplare dello spessore culturale raggiunto oggigiorno dagli studi a livello nazionale.
*per gentile concessione dell’autore
Massimo Visone ”Ville e giardini italiani”. Il giardino storico italiano nella storiografia contemporanea | (doi: 10.1448/21033) Nuova informazione bibliografica (ISSN 1824-0771) Fascicolo 4, ottobre-dicembre 2005