Quando i greci videro i parchi orientali ne rimasero colpiti ed affascinati, poiché la loro cultura, sebbene avanzatissima in tutte le arti, non aveva mai prodotto nulla di eguale. Una delle ragioni per le quali si sostiene che l’Antica Grecia non abbia prodotto sfarzosi giardini è riconducibile alla vita democratica delle polis, che avrebbe mal visto lo sviluppo di giardini privati come dichiarazione di ricchezza e benessere. Peraltro la cultura cretese-micenea fu amante dei fiori, difatti dai reperti possiamo dedurre una centralità del motivo floreale decorativo, come già era stato per quella egizia. Per i greci occuparsi del giardino era un’attività prevalentemente femminile o alla quale ci si poteva dedicare durante le pause tra una guerra e l’altra. Le influenze persiane si propagarono all’antica Grecia: attorno al 350 a.C. c’erano giardini presso l’Accademia di Atene e Teofrasto, considerato il padre della botanica, si suppone avesse ereditato il giardino di Aristotele. Anche Epicuro possedeva un giardino in cui amava camminare e insegnare, che lasciò poi a Ermarco di Mitilene. Alcifrone fa menzione di giardini privati. Il giardino greco era spesso pubblico. Questo interesse iniziò a svilupparsi all’epoca di Cimone, fu lui che fece piantare alberi nell’Agorà di Atene. Fondamentale per i greci era l’attività che si svolgeva al Ginnasio o nelle Accademie, spesso descritti nei dialoghi di Platone o nei testi di Senofonte.
In epoca romana Vitruvio descrive le palestre, costituite da una sala a colonne, detta xystos, dove si potevano svolgere le attività fisiche anche in caso di maltempo. Attigue a questa sala c’erano delle passeggiate all’aria aperta che i romani chiamavano xysta. Si trattava di boschetti o piantagioni di platani disposti tra due portici, c’erano anche sedili e panchine. Usualmente, alla fine dello xysta, si trovava lo stadio. Si pensa che nei prati delle passeggiate potesse crescere abbondante l’acanto.
In questi giardini si passeggiava e discuteva di filosofia (il termine “filosofia peripatetica” trae origine dal fatto che si percorreva un perimetro. I latini appresero la metodologia e coniarono il detto “Solvitur ambulando”). Nel giardino privato si prediligeva la coltura di piante officinali e di ortaggi. I giardini privati erano solitamente piccoli spazi chiusi posti su un lato o sul retro dell’edificio. Lo studio delle erbe officinali era molto avanzato, come testimonia l’opera di Dioscoride sulle piante usate a scopi medici.
Un esempio di giardino greco è quello che ci viene restituito dalle pagine dell’Odissea nel brano in cui viene descritto il giardino di Laerte, padre di Ulisse o in quello di Alcinoo. Si parla di coltivazioni che oggi verrebbero considerate agricole, come vite, fichi, alberi da frutto, ma disposte in maniera ornamentale e in grado di fornire ombra, profumi e diletto a chi vi si intratteneva, con un recinto di rose intrecciate (motivo che si riproporrà più avanti anche durante il Medioevo). È tuttavia errato considerare gli antichi Greci un popolo che coltivava solo orti[4], come è stato spesso detto. All’epoca infatti l’idea di giardino era già compiuta e maturata ma la cultura greca preferì adottare la coltura di piante utili piuttosto che unicamente ornamentali. I sistemi di irrigazione erano estremamente complessi ed elaborati. Si può affermare con un certo margine di sicurezza che la coltura delle piante ornamentali si affermi attorno al VI sec. a.C. poiché ci sono testimonianze dell’uso di coronarsi di fiori, prima di allora sconosciuto. Platone cita il termine perikepoi per indicare delle aiuole, anche se non viene specificata la distribuzione dei fiori[10]. È difficile capire anche se la coltivazione dei fiori fosse incentivata da motivi farmacopeici (come nel Medioevo), o per i riti funebri. Le tombe erano spesso interne ai giardini, e venivano chiamate kepotaphion (cenotafio).
Artemide era considerata la protettrice degli orti e dei giardini, e il suo appellativo era “coronata di violette”. Per la diffusione della coltivazione dei fiori e delle piante fu molto importante il culto di Adone, in onore del quale si costruivano i giardini di Adone, di cui esempi ottimamente conservati sono visibili presso il Museo di Locri. Si trattava di riempire vasi o contenitori con della terra e farvi germinare semi di legumi o cereali (ma anche lattuga, finocchio, insalata). Questo rituale è sopravvissuto e viene diffusamente praticato in Italia e in altri paesi europei. Sembra che questo culto favorì la coltivazione in vaso delle piante. Il capitello corinzio, che rappresenta le foglie lobate e spinose dell’acanto, apparve attorno al V secolo a.C. e si può considerare la prima forma pietrificata di vegetale a scopo esclusivamente ornamentale della storia europea. L’influenza persiana nell’antica Grecia si nota particolarmente nelle testimonianze sulla vegetazione circostante i luoghi di culto, con l’introduzione di specie arboree ornamentali alloctone e con il controllo dei boschi affinché non si inselvatichissero eccessivamente e che l’aspetto paesaggistico generale fosse gradevole senza risultare però artefatto o innaturale. Un elemento tipico dei giardini boschivi greci era il ninfeo, una fontana o un piccolo stagno, naturale o artificiale, coronato da alberi, presso cui si potevano fare sacrifici e omaggi alle ninfe. La tradizione del ninfeo fu ripresa nel tardo XVII sec. e soprattutto nel XVIII sec. In tempi più tardi i boschetti divennero anche frutteti.
Attraverso gli studi della botanica A. Ciarallo, sui giardini dell’antica Pompei, sappiamo che il giardino romano, in origine, è prevalentemente uno spazio utilitario, denominato hortus, generalmente racchiuso e adiacente alla casa, dove le piante sono coltivate per il solo uso di cucina e, per estrarne olii e profumi per la cura del corpo. Anche lo studio della Jashemski, archeologa americana, sui giardini pompeiani è stato specifico per ogni giardino, al fine di comprendere il loro ruolo nella città e la determinazione della proprietà a cui era annesso. Tale studio ha richiesto l’esame di ogni edificio, di ogni pezzo di terreno aperto, in altre parole, dell’uso del suolo della città di Pompei.