Il Rinascimento italiano ispirò una rivoluzione anche nel giardinaggio. I giardini rinascimentali erano ricchi di scene tratte dalla mitologia e da allegorie. In particolare in questo periodo divenne importante l’uso dell’acqua, come simbolo di fertilità ed abbondanza della natura. A partire da XIV secolo l’economia europea raggiunge una fase mercantile piuttosto avanzata, in cui sono le dinamiche commerciali europee a prevalere e il mediterraneo perde la sua centralità. L’Italia, grazie agli scambi culturali ed economici, si arricchisce non solo finanziariamente ma anche culturalmente ed artisticamente. L’Umanesimo e il Rinascimento sono infatti tipici ed esclusivi dell’Italia, al contrario di altri movimenti, come il Manierismo, il Barocco, il Neoclassicismo ecc. che coinvolgono in maniera più o meno omogenea l’intera Europa.
Il concetto di “bellezza” durante il periodo rinascimentale, non era più legato alla particolarità dell’ornamento (caratteristica del Gotico ad esempio), ma dall’armonia delle parti fra loro e la relazione con il tutto. Si concepisce dunque un sistema che secoli dopo verrà chiamato “struttura”. Il giardino rinascimentale prende a modello filosofico il Neoplatonismo e il concetto vitruviano dell’Eurythmia, alla cui base è posto l’uomo che è il sistema di riferimento d’ogni cosa. Le proporzioni fisiche del corpo umano contengono -secondo i rinascimentali- numeri e forme di riferimento validi per creare la bellezza. La più compiuta espressione di tali idee si ha nell’opera di Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, scritto nel 1452 e pubblicato nel 1485. Le indicazioni fornite da Alberti per la ricerca del sito appropriato per la costruzione di una villa con giardino, ci fanno capire quanto ricchi e potenti fossero i committenti. Non si ricercava più un riparo per persone, armenti e orti, ma si collocavano le ville in posizione dominante rispetto al borgo e ai paesi: una chiara affermazione di potere. Anche l’acqua veniva deviata prima alle ville e poi alla città, che doveva essere sottomessa al potere dei signori. Si prediligono quindi luoghi soprelevati, aperti sulle colline o sul mare, con ai piedi la distesa dei borghi. La prospettiva necessariamente si estende al paesaggio circostante, nascono le cosiddette “visuali a campo lungo”. Edifici, e tutti gli elementi architettonici in genere, devono fondersi con la vegetazione e con il paesaggio circostante. I confini del giardino, pur visibili, fungono da quinta scenica per il paesaggio circostante.
La villa appartenuta alle Monache benedettine di San Martino fin dal XIV secolo, passò, nel XV secolo ad Antonio e Bernardo Rossellino e successivamente, nel 1610, a Zanobi di Andrea Lapi. Nel 1718 venne acquistata dai Capponi. Sono i Capponi che definiscono la villa nelle sue forme attuali, come appare nelle incisioni del XVIII secolo. In questo periodo compare: il giardino tergale, concepito come un cortile decorato a motivi rustici e posto ad un livello superiore rispetto all’edificio, l’aranceta, dove sono custoditi vasi d’agrumi, la lecceta, statue in pietra raffiguranti animali.
Nel corso dell’Ottocento numerosi furono i proprietari che si susseguirono, molti dei quali appartenenti alla ricca nobiltà europea. Fra questi Jeanne Keshko, moglie del principe Eugenio Ghyka-Comanesti, che acquista la proprietà nel 1896 tenendola fino al 1925. Durante la seconda guerra mondiale, la villa e il giardino subirono danni ingenti, tanto che quest’ultimo non era più riconoscibile. Nel 1954, sulla base di vecchi documenti, il proprietario Marcello Marchi iniziò un lungo restauro durato sei anni, che riportò la villa al suo antico splendore, dal 1994, gli eredi Zalum ne proseguono l’opera.